Mentre i politici si interrogano sull’opportunità di introdurre regolamenti nel settore finanziario, le banche di investimento cercano nuove vie di guadagno. Una di quelle che promette di essere fra le più ricche riguarda i diritti sulle emissioni di carbonio. Un mercato che, secondo i calcoli della US Commodities Futures Trading Commission (l’agenzia federale americana che controlla il buon funzionamento del mercato dei future), può valere fino a 2mila miliardi di dollari.
Fare trading con l’inquinamento
In pratica si tratta di commercializzare come un normale asset di investimento i permessi di inquinamento concessi dal programma sui cambiamenti climatici elaborato dalle Nazioni unite per controllare l’effetto serra e il surriscaldamento del pianeta. Ad ogni Paese e alle aziende di maggiori dimensioni l’Onu ha assegnato una quota di biossido di carbonio che può liberare nell’aria. Se però riescono a inquinare meno del previsto, la quota in più può essere rivenduta ad altri soggetti. Per chi entra in questo mercato il lavoro è quello di acquistare diritti su determinate quantità di emissioni di carbonio e rivenderle al miglior offerente che può essere un’azienda (energetica o di altro tipo), un Paese o un’istituzione finanziaria che poi, magari a sua volta la rivenderà.
Più guadagno, meno smog. Forse
Per ottenere questi titoli ci sono società che aiutano Stati e aziende a tagliare le emissioni. In cambio si fanno dare i permessi di inquinamento forniti dall’Onu. “E’ stata scelta questa strada perché ritenuta più efficiente rispetto alle alternative politiche”, spiega uno studio di Research&Markets (R&M). “Se ci si può guadagnare, è stato il ragionamento, forse il controllo dell’inquinamento funzionerà”. Dal punto di vista ambientale, a livello globale non ci dovrebbero essere degli scompensi perché la quota di emissioni è fissa”.
I problemi semmai sono altri. Si tratta di un settore ancora giovane nel quale, nonostante gli sforzi del Palazzo di vetro, è difficile arrivare a una regolamentazione comune, come ha dimostrato il fallimento dell’ultimo vertice sul clima che si è tenuto a dicembre dell’anno scorso a Copenhagen. Il mercato legato all’ecologia, inoltre ha dimostrato di essere imprevedibile. L’indice WilderHill New Energy (che raccoglie 88 titoli di aziende che operano nel campo delle energie rinnovabili) l’anno scorso ha guadagnato il 40% mentre da gennaio di quest’anno è sceso più del 7%.
Il business che piace alla finanza
L’interesse per questo nuovo asset di investimento, tuttavia, sta crescendo sempre di più come dimostra anche la caratura dei nomi che ci stanno entrando. La merchant bank JP Morgan Chase ha appena acquistato per 206 milioni di dollari Eco Securities, una società specializzata nella consulenza ai Paesi emergenti su come ottenere crediti di emissioni dalle Nazioni unite e su come inquinare meno. “JP Morgan è stata fra le prime istituzioni finanziarie a capire che per navigare in mezzo a questi mercati turbolenti bisogna cambiare strategia”, spiega uno studio di Jaime Peters, analista di Morningstar che sul titolo ha un giudizio di quattro stelle e un obiettivo di prezzo di 61 dollari. “In questo momento non può contare soltanto sull’attività di banca tradizionale o di merchant bank, per cui sta usando le sue risorse finanziarie per acquistare in comparti simili quando trova buone occasioni”.
Una strategia simile la sta seguendo l’inglese Baclays, che ha messo sul piatto l’equivalente di oltre 115 milioni di euro in contanti per comprare la svedese Tricorona. Ma fra i papabili per entrare in questo business ci sono anche Enel e Goldman Sachs. C’è poi chi pensa a fornire nuovi servizi per questo tipo di attività. Bloomberg, ad esempio, alla fine dell’anno scorso ha acquistato la società di analisi New Energy Finance. “La speranza è che entro pochi anni si arrivi ad un accordo globale sulle emissioni”, dice ancora il report di R&M. “Quando si decideranno le regoli comuni, ad ogni modo, le società di maggiori dimensioni che già lavorano nel settore avranno voce in capitolo”.
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