Una strana forma di depressione ha colpito le azioni, lasciando poco spazio all’euforia. Negli ultimi tre mesi, l’indice Msci mondiale ha perso quasi il 3% (al 31 agosto in euro), riducendo il rialzo dall’inizio dell’anno al 5,92%. Eppure, i risultati aziendali sono stati superiori alle attese, con una crescita degli utili che ha superato il 30% contro attese degli analisti per un incremento intorno al 25%. Per contro i rendimenti delle obbligazioni sono scesi, a fronte di un aumento della domanda di titoli di Stato, rendendo le cedole meno appetibili rispetto ai dividendi. Questi ultimi hanno registrato una ripresa. Nel paniere dell’indice S&P500, ci sono state 136 azioni positive su questo fronte (distribuzione del dividendo o incremento dello stesso) contro due sole decisioni negative.
Nessuna voglia di spendere
Gli investitori non riescono ad appassionarsi alle azioni, perché sono abituati a guardare avanti e nel futuro vedono un’economia fragile, con alti tassi di disoccupazione e persone che smettono di cercare un posto perché sfiduciate, un debole mercato immobiliare, alti debiti pubblici, una maggior austerità fiscale e un più difficile accesso al credito. In questo contesto, gli operatori si aggrappano a qualche dato positivo, come quello dei giorni scorsi sull’industria manifatturiera statunitense, che mostra un’economia non al collasso, ma neanche in piena salute.
Come osserva Ad Van Tiggelen, senior investment specialist di Ing Investment management, nella sua nota mensile, gli investitori sono abituati a vedere la ripresa dei consumi nella seconda fase di rilancio dell’economia (quella che avremmo dovuto vivere in questi mesi); invece pochi hanno voglia di spendere. E’ un’ulteriore conferma che in questo ciclo economico niente è “normale”, per cui anche le cure tradizionali di politica monetaria possono non fare effetto.
Il bicchiere mezzo pieno
Qualcuno comincia a pensare che il 2010 sia un anno “perso” per le azioni, ma altri vedono il “bicchiere mezzo pieno”. Gli economisti di Ibbotson (società del gruppo Morningstar) fanno notare che il ribasso degli ultimi mesi ha parzialmente mitigato le preoccupazioni di una forte sopravvalutazione delle azioni, dopo il rally dell’anno scorso, riportando il mercato più in linea con il quadro economico. Inoltre, considerati i bassi tassi di interesse, difficilmente le obbligazioni potranno fare meglio delle azioni nei prossimi anni, per cui è possibile che quando tornerà un po’ di appetito per il rischio queste ultime ripartiranno.
Michael T. Darda, capo-economista di Mkm Partners, indica cinque buone ragioni per pensare che le Borse siano a un punto di svolta, dopo i cali primaverili ed estivi. I prezzi delle materie prime sono tornati a salire, i titoli cinesi si sono lasciati alle spalle il lungo periodo negativo (il listino di Shanghai ha perso il 32% dall’agosto 2009 al luglio 2010), i differenziali (spread) si sono ridotti per gli strumenti di finanziamento a breve termine e i rendimenti dei dividendi sono a livelli storicamente molto alti rispetto alle obbligazioni societarie. Infine, il sentiment degli investitori è collassato e questo, dice Darda, è un contrary indicator.
Tuttavia, in un ciclo in cui non c’è nulla di normale, è impossibile dire se la fase di depressione stia volgendo davvero al termine e se gli investitori azionari abbiano valide motivazioni per tornare di buon umore.
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