Warren Buffet ha affermato più volte di seguire due regole fondamentali nella propria attività di investitore professionale. Regola numero uno: “Non perdere soldi”. Regola numero due: “Segui la regola numero uno”. A prescindere dal grande successo che “l’oracolo di Omaha” ha raggiunto nella sua carriera, questo spunto ci dà la possibilità di parlare di una delle distorsioni cognitive più diffuse tra gli investitori: la loss aversion, cioè la paura di perdere.
Dopo aver introdotto una panoramica sulla finanza comportamentale la settimana scorsa (per leggere l’articolo clicca qui), cerchiamo di approfondire di più il concetto. In finanza, la loss aversion è un concetto che si riferisce alla tendenza generalizzata delle persone a preferire di evitare una perdita piuttosto che “rischiare” di incassare un guadagno. Alcuni studi hanno dimostrato che le perdite sono psicologicamente due volte più potenti rispetto ai guadagni. In sostanza, questo significa che in generale chi perde 100 euro avrà un “tasso di insoddisfazione” più elevato rispetto al “tasso di soddisfazione” di chi ha guadagnato 100 euro. Razionalmente, invece, le due reazioni dovrebbero essere speculari. Il concetto di loss aversion è nato dopo una serie di esperimenti condotti da Kahneman, Knesch e Thaler e descritti nello studio Expirimental Test of the endowment effect and the Coase Theorem del 1990.
Prendiamo un altro esempio: preferireste ottenere uno sconto del 10% su di un bene che volete comprare, oppure evitare un sovrapprezzo sullo stesso bene pari al 10%? A rigor di logica, il risparmio è esattamente lo stesso. Eppure gli esperimenti di Daniel Kahneman e colleghi hanno dimostrato che il consumatore medio dà irrazionalmente molta più importanza allo sconto, esattamente come l’investitore medio dà più importanza a 100 euro di capitale preservato piuttosto che a 100 euro di capitale guadagnato.
Decisioni difficili
Uno degli effetti che produce la paura di perdere, è quello di sbagliare le tempistiche nelle proprie manovre di investimento. Certo non è facile prendere le giuste decisioni. In genere gli investitori esitano a convertire una perdita potenziale in una perdita reale; tendono a mantenere le stesse posizioni anche se sono in rosso, nella speranza che la tesi originaria su cui si sono basati si rivelerà giusta alla fine, peggiorando spesso la situazione. Oppure, alternativamente, liquidano le proprie posizioni troppo in fretta, monetizzando così una perdita che poteva essere evitabile.
L’intersezione tra Etf e finanza comportamentale
Negli ultimi anni, i replicanti hanno guadagnato molto spazio nei portafogli degli investitori (sia retail che istituzionali), mentre i fondi gestiti attivamente l’hanno perso. “La crescente disillusione verso la gestione attiva ha spinto gli investitori verso la pura e semplice replica del mercato”, afferma Lee Davidson, analista Etf di Morningstar in una nota. I bassi costi, la trasparenza e la liquidità degli Etf, hanno fatto il resto.
“Eliminando la gestione attiva, gli investitori hanno ridotto nei propri portafogli l’influenza delle cognitive biases (distorsioni cognitive), che fanno inevitabilmente parte della natura umana e non posso essere cancellate del tutto”, prosegue Davidson. È importante sottolineare l’utilizzo del verbo “ridurre”, in quanto anche l’investitore che costruisce un portafoglio totalmente a replica passiva deve prendere delle decisioni, le quali saranno sempre soggette a distorsioni cognitive. Cosa fare? E’ importante essere consapevoli di queste distorsioni per minimizzarle.
Strategie passive per minimizzare la loss aversion
Ma come applicare questi concetti alla pratica? “Innanzitutto, occorre cambiare il concetto di guadagno o perdita”, commenta l’analista Morningstar. “Di solito confrontiamo il valore dei nostri investimenti con il prezzo a cui li abbiamo comprati, una specie di ancoraggio mentale. In realtà, la finanza comportamentale ci dice che dovremmo confrontarli con il rendimento del mercato, ovvero quel rendimento che otterremmo senza prendere nessuna decisione o senza mettere in atto alcuna strategia, ma semplicemente replicando il mercato”. Dunque, in questo caso, i guadagni o le perdite rappresenterebbero i risultati di una strategia attiva, che si prefigge di battere il mercato, ma che spesso fallisce. “La loss aversion si trova nel suo stato più potente e influente sulla psiche di un investitore quando una strategia attiva fallisce”.
Gli Etf offrono una mano in questo caso, permettendo di minimizzare la loss aversion. “L’utilizzo di replicanti elimina il bisogno di verificare periodicamente se l’asset allocation batte o meno il mercato, visto che per definizione replicano quello stesso mercato”, conclude Davidson.
La prossima settimana, parleremo di Endowment effect, la tendenza ad amare troppo quello che già si possiede.
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