Fra l'incudine Spagna e il martello Bce

La sitauzione iberica non ancora è paragonabile a quella di altri paesi. Ma la situazione peggiora e le armi di Francoforte sono spuntate.

Marco Caprotti 19/04/2012 | 15:21
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Crisi economica in spagnolo si dice depresiòn. Un termine che entra sempre più spesso nelle discussioni degli operatori, viste le notizie che quotidianamente arrivano dalla penisola iberica e gli effetti che queste hanno sulle Borse. Nei giorni scorsi la Banca centrale spagnola ha comunicato che il tasso dei prestiti in sofferenza degli istituti domestici è salito a febbraio al nuovo record dal 1994 e che le banche devono fare accantonamenti ulteriori per 29 miliardi e raccogliere capitale per 15,57 miliardi.

Questo, unito ai rendimenti dei Bonos che continuano a volare (e si avvicinano pericolosamente alla soglia critica del 7%, la stessa che ha spinto Grecia, Irlanda e Portogallo a cercare aiuto), non fa altro che rinfocolare le preoccupazioni su un peggioramento della crisi del debito in Europa. Con l’ultima emissione di titoli a dieci e due anni, il Tesoro iberico ha collocato complessivamente 2,54 miliardi di obbligazioni. I rendimenti sul titolo decennale sono risultati in lieve rialzo al 5,743% dal 5,403% di gennaio. I tassi sul titolo a due anni si sono attestati al 3,463%. La domanda per la carta a dieci anni è stata pari a 2,42 volte l’importo offerto, in rialzo da 2,17 dell’emissione precedente.

Il problema spagnolo
Madrid deve affrontare tre problemi chiave. Primo: dopo anni di prestiti e con l’emergenza di una bolla immobiliare deve mettere in sicurezza il sistema bancario. Il governo ha fatto significativi passi avanti per ricapitalizzare gli istituti di credito e per obbligarli a ridurre le perdite. Tuttavia parecchi operatori sono convinti che molto debba essere ancora fatto. Secondo: gli ultimi due esecutivi, secondo gli economisti, non hanno avuto la mano ferma nella soluzione del problema fiscale, anche a causa dei problemi a livello regionale e oggi bisogna fare i conti con i costi di ristrutturazione del sistema bancario che andranno ad aumentare il debito pubblico. Terzo: licenziare nel settore pubblico e privato quando si ha un tasso di disoccupazione al 23,3% non è un compito facile.

In uno scenario del genere le opzioni sono due: o la Spagna ce la fa da sola o deve cercare l’aiuto della cosiddetta Troika (Commissione europea, Bce e Fondo monetario internazionale) come ha fatto la Grecia. “La ristrutturazione del debito iberico è difficile”, spiega Turgut Kisinbay, analista del team di reddito fisso di Oppenheimer Funds. “Il livello (68,5% del Pil) non è alto rispetto a quello di altri paesi. Tuttavia è previsto un aumento a causa dei costi di ristrutturazione del sistema bancario, un processo che il governo ha deciso di accelerare. Resta da vedere se gli istituti di credito saranno in grado di rispettare il calendario imposto dall’esecutivo”. Nel frattempo la Spagna si sta comportando come fece a sua tempo l’Irlanda, affermando di non aver bisogno di aiuto e minimizzando i costi della ristrutturazione bancaria. I numeri,per ora, sembrano darle ragione. Madrid ha i fondi necessari per onorare il 50% delle obbligazioni in scadenza quest’anno e il Tesoro ha ingenti riserve di cassa. I costi della ristrutturazione del debito e della riforma fiscale, tuttavia, potrebbero portare il rapporto deficit/Pil all’85% e oltre nel giro di due anni. “Questa percentuale, specie se confrontata con quella di altri paesi della regione non è spaventosa”, continua Kisinbay. “Tuttavia la rapidità dell’incremento potrebbe preoccupare i mercati e rendere difficoltosa la ricerca di fondi. Un aiuto della Troika permetterebbe alla Spagna di mantenere buoni rapporti con il mercato”.

Le colpe della Bce
Ridurre la questione della crisi del Vecchio continente solo al problema spagnolo, tuttavia, è ingiusto. “Il nodo principale dell’Europa è la mancanza di crescita e di competitività”, spiega uno studio di Threadneedle Investments. “La liquidità data alle banche dalla Bce rischia di peggiorare i due problemi. Se gli istituti di credito prestano di più ai governi attraverso l’acquisto di bond governativi, chiudono i rubinetti dedicati alle imprese e alle famiglie (l’economia reale) minando la ripresa. L’aumento delle misure di austerità, inoltre, farà da zavorra alla crescita almeno finché non ci sarà una ristrutturazione dell’Europa. L’eccesso di debito governativo, infine, resta un problema forte e di lunga durata che può essere risolto attraverso la crescita, l’inflazione o la stampa di moneta”.

In questa situazione, insomma, la Bce rischia di essere una parte del problema oltre che una componente della soluzione. “Quando la Banca centrale settimana scorsa ha detto che poteva comprare bond spagnoli, ha dato una spinta al rally di azioni e obbligazioni”, dice Fred Copper, senior portfolio manager della società americana di gestione, Columbia Management. “Ma è una soluzione che non è sostenibile. Ci sono dei limiti a quello che può fare in questa situazione. Alla fine la via d’uscita deve essere trovata dai politici attraverso sostanziali aggiustamenti della parte fiscale. La questione è capire se sono in grado di fare questo adottando provvedimenti difficili e impopolari. E se hanno la capacità di agire da soli o hanno bisogno di nuove pressioni da parte dei mercati”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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