Nel 2011 il tormentone dell’estate è stato lo “spread”. Nel caldo agosto 2012 , sarà il Libor la parola che rimbalzerà di bocca in bocca? Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve ha detto, davanti alla commissione bancaria del Senato statunitense, che la manipolazione di questo tasso è “il maggior problema per la finanza”. E sono in molti a ritenere che il caso di Barclays, seconda banca inglese, sia solo la punta dell’iceberg, mentre gli investigatori indagano anche sull’operato di altri istituti di credito.
Cos’è il Libor
La manipolazione del Libor non è solo una questione per addetti ai lavori; al contrario tocca gli investitori e chi contrae mutui o finanziamenti. Il London interbank offered rate (Libor), infatti, è il tasso interbancario, calcolato quotidianamento dalla British Bankers’ association, in base ai saggi di interesse richiesti per cedere a prestito depositi in una data divisa, da parte delle principali banche che operano sul mercato interbancario di Londra.
In pratica, il Libor è il tasso di riferimento europeo al quale le banche si prestano denaro tra loro ed è un indice del costo del denaro a breve termine che viene adoperato comunemente come base per il calcolo dei tassi di interesse di molte operazioni finanziarie, come la stipula di mutui e i contratti su derivati, principalmente in valute diverse dall’euro, per il quale il tasso di riferimento è più spesso l’Euribor. Secondo la Commodity Futures Trading Commission sono legati al Libor più di 800mila miliardi di dollari in titoli e prestiti, compresi 350mila miliardi in contratti swap e 10mila in prestiti, fra cui quelli per casa e auto.
Un indice obsoleto?
Lo scandalo ha messo in discussione la reputazione di questo indice aprendo il dibattito sul fatto che rimanga un benchmark adeguato sia per le operazioni finanziarie sia come parametro di riferimento per misurare il profilo di rischio/rendimento dei fondi comuni e altri strumenti di investimento.
Come si legge in un report di Morgan Stanley, dal titolo “Quale futuro per il Libor?”, la vulnerabilità di questo indice è emersa già nel 2007, quando è scoppiata la crisi finanziara. La principale critica riguarda l’assenza di transazioni sottostante la sua determinazione, che è basata su un sondaggio tra le banche sul tasso al quale prendono a prestito fondi non garantiti. Il problema è che nell’ultimo ventennio l’operatività degli istituti di credito è cambiata e l’intero sistema è finito sotto pressione. La rilevazione, quindi, non riflette più il mondo reale.
Riforma necessaria
Per gli analisti di Morgan Stanley, comunque, non è ancora giunto il momento di mandare in soffitta questo indice. Tra i punti di forza annoverano la trasparenza della metodologia di calcolo e la capacità di riflettere il rischio del mercato monetario (non solo le attese sui tassi di interesse come altri indicatori). Inoltre, le statistiche mostrano che il suo fixing si avvicina molto ai tassi degli strumenti realmente scambiati (ad esempio i certificati di deposito o le carte commerciali).
Il motivo principale, però, per cui il Libor difficilmente può essere pensionato è la sua diffusione come indice di riferimento. Il suo abbandono avrebbe, dunque, conseguenze non prevedibili, in particolare sul mercato degli swap sui tassi di interesse (contratti che prevedono lo scambio periodico, tra due operatori, di flussi di cassa aventi la natura di “interessi” calcolati sulla base dei saggi predefiniti e differenti e di un capitale teorico di riferimento, Ndr). Probabilmente, però, una riforma metodologica, che lo agganci alle reali transazioni che avvengono sul mercato monetario è diventata una necessità dopo lo scandalo di Barclays e, ancor prima, il crack di Lehman Brothers, a tutela di chi, perché ha contratto un mutuo o investe i suoi risparmi, subisce le conseguenze di queste manipolazioni senza avere strumenti per difendersi.
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