Le aziende cinesi stanno preparando la fuga di massa da Wall Street. L’ipotesi circola sempre più insistentemente fra gli operatori da quando la Securities and exchange commission (Sec, l’autorità di controllo sulla Borsa americana), alla fine del 2012 ha accusato le filiali cinesi di cinque società di auditing (Deloitte, Kpmg, PriceWaterHouseCooper, Ernst&Young e Bdo Seidman), di dare informazioni incomplete (secondo gli standard Usa) su alcune aziende del Dragone quotate a New York. Il ritorno in patria dei cinesi per la piazza americana sarebbe devastante sia per la capitalizzazione degli indici (e degli strumenti che su questi sono costruiti), sia per le tasche degli investitori che dalla fine del decennio scorso hanno deciso di puntare sul boom della Cina passando dall’America.
Standard diversi
La querelle non è di poco conto, considerando che le società di revisione contabile seguono 126 società cinesi presenti sui listini americani. In generale, non è raro che aziende quotate in paesi diversi da quelli di nascita utilizzino standard contabili differenti. Tuttavia in America, per essere ammessi alla quotazione bisogna compilare un bilancio annuale preciso e certificato da una società di auditing registrata presso lo US Public Company Accounting Oversight Board che riconosce ai suoi membri anche poteri ispettivi. La legislazione americana, tuttavia, cozza con quella cinse che, su alcune questioni contabili, obbliga alla segretezza sia le aziende che le società di revisione.
La Sec delibererà sulla questione a settembre di quest’anno, ma nel frattempo la situazione potrebbe degenerare ed estendersi alle multinazionali americane che operano in Cina (la maggior parte sono del comparto hi-tech) e i cui bilanci vengono analizzati e certificati dalle stesse società che si occupano di quelle cinesi. Una pratica che potrebbe essere proibita se lo scontro fra New York e Pechino dovesse accentuarsi e se la Sec obbligasse le società quotate cinesi a lasciare Wall Street.
Valutazioni a sconto
“Il pericolo è che aumenti la tendenza da parte delle società asiatiche ad abbandonare la Borsa americana”, spiega Michelle Gibley, analista di Charles Schwab. “Dal 2011 molte aziende cinesi presenti sui listini americani (soprattutto del settore Internet, Ndr) sono state ritirate dalla quotazione. Molti imprenditori di Pechino hanno approfittato delle basse valutazioni del mercato americano per ricomprarsi tutta l’azienda. Altri, invece, hanno cambiato piazza finanziaria perché ritenevano che quella Usa non valorizzasse a sufficienza le loro società. Lo scontro fra le autorità Usa e quelle del paese asiatico potrebbe far passare del tutto l’appetito per le azioni made in China”.
A tutto questo vanno aggiunte le centinaia di aziende cinesi che la Sec ha cancellato d’imperio dalla quotazione perché ritenute responsabili di frodi agli investitori. L’opinione comune è che prima di settembre i due paesi arriveranno ad un accordo, anche se gli osservatori non escludono che Pechino possa irrigidirsi per poter ribadire la sua forza sui mercati internazionali.
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