Niente umanesimo e grandi scoperte geografiche. Il Rinascimento dell’Africa, dicono gli operatori finanziari, passa per la fine della violenza, della disuguaglianza sociale, della povertà e della corruzione per rimpiazzarli con un sistema più equo che offra buone opportunità di crescita economica ai suoi abitanti e agli investitori. “L’Africa è l’ultimo dei mercati emergenti”, ha spiegato Clifford Mpare, presidente e amministratore delegato di Frontline Capital Advisor Limited (Fcal) durante l’ultimo dinner organizzato dal Cfa nel quale ha presentato le caratteristiche del Continente nero e le possibilità operative che offre.
Profilo
L’Africa ha una superficie totale di oltre 30 milioni di chilometri quadrati che la pone al secondo posto fra le regioni più grandi del mondo dietro l’Asia. E’ abitata da circa un miliardo di persone (il 15% della popolazione mondiale), ma contribuisce al Pil globale solo per il 3%. Questo nonostante abbia il 10% dei depositi totali di petrolio, il 40% delle riserve aurifere e il 15% del gas naturale. “Le stime dicono che nella regione sub sahariana la popolazione crescerà a un ritmo del 15-20% annuo fino al 2040”, spiega Mpare. “Questo potrebbe sia attrarre investimenti da parte di quelle attività che hanno bisogno di una grande forza lavoro, sia far aumentare la domanda economica in generale”. Dal punto di vista congiunturale, la storia parla di una regione in costante crescita. Secondo i dati del Fondo monetario internazionale, il Pil della regione sub sahariana è passato dal +1% del 1992 al +5,5% (stimato) del 2012, passando per il +3% del 1998. 11 anni fa solo 18 paesi della regione hanno avuto un miglioramento del Pil superiore al 3%. Il loro numero è salito a 32 nel 1997. Nel 2006, solo 10 stati hanno avuto una crescita inferiore al 3%. In base alle elaborazioni di World Economic, nel periodo 2000-2009 a livello mondiale 11 paesi hanno registrato un tasso di crescita superiore al 7%. Di questi, nove si trovano nell’Africa sub sahariana.
Numeri ai quali hanno contribuito anche i pionieri della caccia ai rendimenti nelle zone più rischiose. Secondo un rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo, nel periodo 1977-1982 l’Africa riceveva il 9% degli investimenti esteri indirizzati ai mercati emergenti. Il boom delle esportazioni delle commodity ha cambiato radicalmente la situazione e oggi arrivano il doppio dei soldi che vanno, ad esempio, in India e in Brasile.
I rischi
Nell’immaginario collettivo l’Africa è una regione di forti instabilità politiche in cui fazioni tribali e religiose, spesso appoggiate dai paesi sviluppati, si combattono per il controllo di zone ricche di materie prime. “Ma i leader politici del 21esimo secolo hanno una migliore educazione e idee più progressiste rispetto ai loro predecessori”, dice il presidente di Fcal. “Oggi lo scenario politico è più stabile che in passato”. A dirlo sono anche i numeri. Secondo i calcoli dell’Economist intelligence unit, nel periodo 1960-1969 nel continente africano si sono contati una ventina di colpi di stato. Una media che è rimasta costante fino al decennio 1980-1989. La tendenza è iniziata a diminuire fra il 1990 e il 1999. Fra il 2000 e il 2009 sono stati contati sette putsch. In base ai dati elaborati dallo United nation development program fra il 2010 e il 2011 nei paesi africani ci sono state 40 elezioni che hanno portato cambiamenti positivi in paesi come il Sud Sudan, il Niger e la Zambia. A questo va aggiunto che il numero delle donne presenti nei diversi parlamenti non è mai stato alto come oggi.
Anche per quanto riguarda la corruzione le cose stanno migliorando. E’ vero che la piaga si fa particolarmente sentire in paesi come il Kenya, la Nigeria e l’Angola. Tuttavia, secondo le statistiche redatte da Transparency International, Botswana, Mauritius e Ghana hanno una situazione migliore di, ad esempio, Cina, Brasile e India. A questo va aggiunto che, per aprire un’attività commerciale in Rwanda bastano tre giorni mentre in Senegal ce ne vogliono otto (nella Svizzera italiana ce ne vogliono più o meno 40).
Le scelte operative
Dal punto di vista operativo i comparti più interessanti (come sempre nei mercati emergenti) sono quello dei consumi e delle infrastrutture. Secondo alcune stime nei prossimi dieci anni la capacità di spesa delle famiglie africane dovrebbe aumentare del 50%. Entro il 2030 chi abita nelle trenta città più grandi avrà una capacità di spesa (totale) di oltre mille miliardi di dollari. Nello stesso anno la Nigeria potrebbe essere la 20esima economia mondiale. Una parte del merito di questa crescita va ai lavori infrastrutturali intrapresi nel continente per far fronte alla crescente richiesta da parte di altre zone emergenti. La Cina, da questo punto di vista si sta guadagnando i galloni di primo investitore del Continente. Il Dragone ha investito direttamente 4,5 miliardi di dollari, mentre i commerci fra le due zone crescono a tassi del 40% annuo. Il comparto più sviluppato è quello telefonico, mentre molto ancora deve essere fatto sul fronte dei trasporti. “Per quanto riguarda le valutazioni, le blue chip africane sono a sconto rispetto a quelle dei concorrenti negli altri mercati emergenti e di frontiera”, spiega Mpare. “Questo è dovuto anche al fatto che la copertura da parte degli analisti è ancora scarsa”. Nel continente nero, ad oggi, sono presenti 18 mercati borsistici per una capitalizzazione totale che ha superato i mille miliardi di dollari contro i 113 miliardi del 1992 (fonti: PriceWaterHouseCooper e African Stock Exchange Association).
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