Gli investitori hanno cambiato strategia, spiazzando i teorici della contrapposizione tra gestioni attive e strumenti indicizzati, come gli Exchange traded fund. E’ un fatto che rompe la monotonia della storia degli investimenti, dove mutano i protagonisti, ma non i temi (si parla sempre di diversificazione, protezione del capitale, rischio e rendimento).
Gli Etf hanno rappresentato una rivoluzione tecnologica all’interno dell’industria, introducendo la quotazione in Borsa nel mondo più statico dei fondi. La normativa europea conosciuta come Ucits III ha fatto vacillare le barriere tra gestione tradizionale e alternativa. Online, promotori e consulenti finanziari hanno modificato il rapporto tra intermediario e cliente e le modalità con cui si investe.
Mix di portafoglio
Se è vero che esistono ancora investitori che preferiscono essere solo attivi o solo passivi, un crescente numero opta per una combinazione delle due strategie. Alcuni utilizzano i replicanti per esporsi a indici generali, come ad esempio l’Msci World e cercano i gestori attivi per aggiungere valore cogliendo le opportunità nelle nicchie meno efficienti del mercato. Altri si comportano in modo opposto, perché ritengono che sui mercati più liquidi, come quello americano, si guadagna solo con un bravo fund manager che compie delle scelte che si distaccano dall’indice di riferimento. Ci sono, infine, investitori che si fanno guidare da criteri particolari come i costi, misure di rendimento aggiustato per il rischio o qualità della casa di gestione.
In altre parole, il veicolo di investimento (fondo, Etf o altro) non è il primo fattore preso in considerazione nelle scelte di portafoglio, ma sempre più spesso è funzionale alla strategia che si intende seguire. Come spiega Scott Burns, direttore della ricerca sui fondi di Morningstar, in futuro la domanda non sarà: “Qual è il miglior fondo o Etf?”; bensì “Qual è la strategia più adatta alle mie esigenze?”. Proprio queste riflessioni hanno indotto Morningstar a ristrutturare il team degli analisti, non più divisi per prodotti ma per strategie di investimento (attive, passive, alternative e fondi di fondi).
Il mercato non è più lo stesso
Il superamento dell’antagonismo è il frutto della trasformazione del contesto finanziario, ben illustrato in un report di Allianz global investors nel quale si parla di financial repression per descrivere uno scenario di tassi di interesse dei titoli di stato inferiori alla crescita (è il caso della Germania e degli Stati Uniti), che è anche un modo silenzioso per ridurre il debito pubblico, dove sono i risparmiatori a pagare il conto. I ricercatori invitano quindi a dare una nuova definizione di “sicurezza” non più associato all’assenza di oscillazioni dei prezzi, bensì alla tutela del potere di acquisto. L’obiettivo da porsi, dunque, è il rendimento reale, che permetta di soddisfare le proprie esigenze finanziarie (ad esempio l’acquisto di una casa).
Prima di tutto la strategia
Il prolungato periodo di bassi tassi di interesse incentiva la ricerca di strumenti a costo contenuto, mentre le novità regolamentari vanno nella direzione di allineare le scelte di investimento con il profili di rischio/rendimento dell’investitore. In uno studio condotto da iShares su 35 società di gestione, che hanno asset under management per circa 2.400 miliardi di euro, emerge che l’integrazione tra gestione attiva e indicizzata proseguirà nel tempo. Accanto a un 30% di “attivi puri”, un altro 25% utilizza già il mix e un altro 45% considera l’asset allocation come fattore principale e il veicolo secondario.
Questione di metodo
Se la direzione è tracciata e condivisa, non esiste una risposta univoca sulle metodologie con cui le due strategie si integreranno. Molto dipenderà anche dall’abbattimento di alcuni ostacoli, tra cui i modelli di business basati sulle retrocessioni e ancora largamente diffusi in Europa, la scarsa conoscenza dei prodotti indicizzati e le difficoltà nel promuoverli (un bravo gestore attivo fa più notizia). E’ un dato di fatto che l’11% del patrimonio dell’industria del gestito sia in fondi indicizzati ed Etf e che i gestori tiepidamente attivi (quelli che non si discostano molto dal benchmark facendosi pagare come attivi) potrebbero non trovare più posto in un mercato polarizzato.
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