Attività e passività, diceva Sigmund Freud, sono elementi fondamentali della vita. Logico quindi che aspetti così profondi del comportamento umano trovino applicazione anche in un campo legato alle scelte di investimento. La crisi finanziaria scoppiata con i subprime americani e quella del 2008-2009 che ancora morde il Vecchio continente sembrano aver giocato un ruolo fondamentale nelle scelte di asset allocation. Nei momenti di tempesta sembra prevalere la passività, mentre quando la situazione è più tranquilla ci si affida a un gestore. Resta da capire se questi due atteggiamenti, legati in qualche modo al subconscio, siano quelli più indicati per generare alpha.
Secondo l’Etf Landscape – Industry Highlights, redatto da BlackRock Investment Institute il 2012 (anno in cui si è parlato di disgregazione della zona euro, in cui la ripresa americana ha mancato le promesse fatte alla fine del 2011, mentre la Cina ha tirato qualche colpo a vuoto) è stato un periodo in cui i replicanti sono stati cercati mai come prima dagli investitori a caccia di strumenti a basso costo che li facessero stare tranquilli. I flussi netti in entrata sono stati pari a 263 miliardi di dollari, superando così il precedente record storico del 2008 (260 miliardi). Al 31 dicembre, il patrimonio in gestione era pari a 1.933 miliardi, in crescita del 27% rispetto a fine 2011. Praticamente invariato il numero di Etp quotati nel mondo: 4.746, contro i 4.747 di un anno fa. Il mese di gennaio si è chiuso con il terzo miglior risultato di sempre per la raccolta netta, pari a 40,2 miliardi di dollari. In crescita anche il patrimonio gestito, pari a 2.045 miliardi di dollari a fine mese (contro i 1.651 miliardi a fine gennaio 2012).
Si torna ad essere attivi?
Le cose però stanno cambiando. Almeno nel Vecchio continente dove i flussi verso i fondi di investimento sono andati soprattutto verso i prodotti obbligazionari (un classico porto sicuro) ma dove, secondo il Morningstar asset flow report, 25 miliardi di euro sono stati indirizzati verso strumenti bilanciati. Un segnale, dicono gli analisti, che gli investitori sono pronti a lasciare in mano ai money manager le scelte di investimento.
“I fondi gestiti attivamente stanno tornando ad essere una porzione importante dei portafogli”, spiega uno studio di US Global Investors. “Eppure avrebbero dovuto registrare il boom proprio nei momenti più difficili delle tempeste finanziarie. Seguire un indice, ad esempio con un Etf, quando le cose vanno male può essere molto pericoloso. Il buon senso suggerisce, in momenti come questi, di affidarsi a un gestore in grado di mettere in atto velocemente le migliori procedure di copertura dai rischi”.
L’altro elemento che manca spesso agli indici è la diversificazione. “Un fattore essenziale, soprattutto se si ha che fare con strumenti di investimento molto volatili come le materie prime”, continua il report che cita l’esempio del paniere Msci Select Metal & Mining Producers (ex Gold & Silver), nel quale sono raccolte aziende minerarie in cui dieci aziende da sole fanno il 50% dell’indice. “Un benchmark del genere da solo fa impennare la volatilità di un portafoglio intero”, conclude lo studio.
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