Cosa manca all’indice di frontiera

I benchmark sono spesso concentrati o parziali. I gestori possono creare valore, rispondere agli shock e cogliere i trend di sviluppo.

Marco Caprotti 21/02/2013 | 12:22
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Assunto numero uno: i mercati di frontiera sono un asset di investimento sempre più interessante che sta coinvolgendo un maggior numero di investitori. Assunto numero due: nell’ultimo decennio gli Etf (e più in generale gli strumenti passivi) sono diventati fra i prodotti più utilizzati grazie ai vantaggi che offrono. Conclusione: per investire nei mercati di frontiera una strategia passiva è l’ideale. Il ragionamento appena illustrato, che è poi quello che fanno tutti gli operatori che si avvicinano per la prima volta ai mercati di frontiera, presenta però alcuni punti deboli che fanno preferire una strategia di tipo attivo.

I limiti della strategia passiva
Un esempio arriva dagli Etf quotati in Borsa italiana dedicati all’Africa. Gli otto replicanti rivolti al continente nero hanno tutti benchmark esposti soprattutto alla parte nord della regione. Un’area che, dalla maggior parte degli operatori, viene inclusa più fra i mercati emergenti che fra quelli di frontiera. In realtà ci sarebbe un Etf che, almeno nel nome, parrebbe dedicato ai paesi meno evoluti della regione: l’RBS Market Access Msci Emerging and Frontier Africa ex South Africa Index. Andando a vedere nel dettaglio la composizione dell’indice, tuttavia, si osserva che il 33,4% del paniere copre l’Egitto, mentre un altro 18,34% è dedicato al Marocco. A questi va aggiunto il 3,4% della Tunisia. Un orientamento a nord che non viene compensato dall’esposizione verso l’equity di Nigeria (32,9%), Mauritius (4,15%) e Kenya (7,72%).

Tutto questo dimostra che, per quanto riguarda i mercati di frontiera, i replicanti sono costruiti seguendo le azioni più grandi e liquide. Un atteggiamento che, indirettamente, è stato criticato anche da Nouriel Roubini, professore di Economia e affari internazionali alla Stern School of Business (diventato famoso per aver previsto in tempi non sospetti lo scoppio della crisi americana dei subprime). “I gestori di fondi dovrebbero considerare mercati africani come il Ghana, il Kenya, la Nigeria e la Tanzania piuttosto che andare a caccia in paesi emergenti affollati”, ha spiegato. Secondo un’analisi della società di consulenza Towers Watson effettuata studiando il Ftse 50 Frontier Index (un paniere che raccoglie le 50 società più liquide presenti in un gruppo di 23 mercati di frontiera), quasi la metà del peso del benchmark è rappresentato da aziende del Qatar e della Giordania. L’Africa, invece, contribuisce con il 18,6% e grazie a tre stati: Nigeria, Kenya e Mauritius. Per Towers Watson questo porta a due conclusioni. Prima: “Molti indici non fotografano bene i mercati di frontiera”. Seconda: “I mercati di frontiera sono inefficienti almeno per quanto riguarda le informazioni sulle società che li compongono”.

I vantaggi di quella attiva
Scegliere la gestione attiva sui mercati di frontiera è meno complicato di quello che sembra. In Italia sono presenti cinque società che propongono, in tutto, una ventina di fondi di investimento tradizionali per la clientela retail dedicati a questo asset di investimento. Gli elementi chiave che differenziano questi strumenti da quelli passivi sono sostanzialmente quattro. Primo: i gestori incontrano i manager delle società. Un fattore importante in mercati come quelli di frontiera, caratterizzati da cicli brevi e dinamici in cui hanno successo quei dirigenti d’azienda che conoscono il mercato locale, sanno come muoversi nei momenti difficili e sono in grado di comunicare con gli investitori esteri. Secondo: la gestione del rischio. Un money manager attivo può rispondere meglio ai momenti di sell off dei mercati attuando le operazioni di copertura che il momento richiede, soprattutto in mercati sganciati dal ciclo economico globale e, in genere, poco liquidi. Terzo: la pazienza. Una virtù che tutti gli investitori devono avere, in maniera particolare quelli che vogliono operare sui mercati frontiera. Chi, venti anni fa, ha puntato su India e Cina, oggi ne raccoglie i frutti. Quattro: la capacità di individuare i temi di investimento su cui puntare. Un elemento fondamentale in paesi le cui dinamiche sono diverse sia da quelle degli stati sviluppati che da quelle degli emergenti. Una macro tendenza come quella dei consumi, ad esempio, in Africa presenta una serie di aspetti diversi da quella che si vede in Cina.

Leggi Morningstar Investor dedicato ai mercati di frontiera.

 

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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