“Se escono dall'euro la Grecia o il Portogallo, peggio per loro. Se uscisse l'Italia, difficilmente l'euro si salverebbe (si passerebbe forse a un’area del marco tedesco).” È così che si aprono le riflessioni dell’economista Giacomo Vaciago, a cui Morningstar ha voluto porre alcune domande circa le influenze che le elezioni potrebbero avere nel più ampio contesto europeo.
Cosa serve all’Italia
Nel 2007 è iniziata la crisi della finanza a livello globale e in due anni si è trasformata in quella dell’Eurozona con spread che rispetto ai bund tedeschi sono tornati ai livelli di prima del 1999, ossia prima dell’avvio della divisa comunitaria. Per restare nell'euro e averne i benefici - e non solo i costi - l'Italia deve fare le stesse cose che servono per tornare a crescere. È esattamente ciò che Draghi ha ripetuto per sei anni, l'ultimo giorno di maggio a Roma nelle sue "Considerazioni finali" quando era governatore della Banca d'Italia. Ed è esattamente quanto era scritto nella famosa lettera Trichet-Draghi al Governo italiano del 5 agosto 2011: all'Italia servono tre cose, ossia un bilancio pubblico in pareggio, un'amministrazione pubblica onesta ed efficiente e riforme che aumentino il potenziale di crescita.
Di fronte alle presentazioni programmatiche dei partiti e dei loro rappresentanti c'è qualcuno che porta avanti questo programma o quantomeno che ne ha l’oggettivo intento? Secondo Vaciago, “In questi termini, nessuno.” Egli esprime la sua incertezza a riguardo: “Era sembrato che Mario Monti si candidasse come leader politico proprio per questo, ma il tutto è rimasto poi incompleto. A questo punto, resta desiderabile - se non altro, come male minore - un governo di coalizione Bersani-Monti, che abbia ben chiaro quanto l'euro (e quindi un’Unione europea "vera", come adesso si dice) rimanga la nostra ‘terra promessa’. Ogni altra alternativa sarebbe peggiore, da questo punto di vista, perché procederebbe a zig-zag, illudendo la gente che dall'euro possa convenire uscire o che l'Unione possa essere ‘a la carte’”.
Anti-europei?
Anche nel nostro Paese si stanno diffondendo correnti di pensiero che fanno pensare a tutto tranne che alla voglia di fare parte di un progetto comune. La moneta unica è oggi un "capro espiatorio" un po’ in tutti i paesi dell’Eurozona, ma soprattutto laddove si sono confusi i benefici dell'euro con l’egemonia tedesca nelle decisioni di politica monetaria. Per l’economista, finché Bruxelles non riprenderà il discorso della "crescita comune", che fu di Jacques Delors e di Tommaso Padoa Schioppa, la tentazione di fare dell'antieuropeismo una bandiera politica resta possibile. Dice Vaciago: “L’unione bancaria europea e il fiscal compact non sono odiati (ma semmai ignorati) dalla gente. E non credo che dovremmo avere problemi lì. La stessa recente ondata di scandali, tutti molto domestici, mostra a chiunque che siamo bravissimi da soli a farci del male e che semmai le regole europee ci aiutano a evitare il peggio”.
La Germania fa più paura
Per Vaciago, “Se non c'è una buona, omogenea, ampia maggioranza, la soluzione più prevedibile (e desiderabile) è quella di un governo di Grande coalizione”. Ma per i destini di Eurolandia fanno più paura le elezioni tedesche. “Una crisi grave come quella dell'autunno 2011 è stata dovuta alla percepita possibile dissoluzione dell'Eurozona, oggi non più attuale, se tiene l'accordo Draghi-Merkel e soprattutto se la Merkel sarà rieletta”, dice l’economista. “Sono le elezioni tedesche, più delle nostre, quelle che contano per il futuro dell'euro. E non è una battuta.”
In questi giorni Morningstar pubblicherà una serie di articoli nei quali gestori, economisti e docenti illustreranno gli scenari del dopo voto.
Leggi i precedenti articoli, ai seguenti link:
- Elezioni/1 – Fiscal compact al sicuro
- Elezioni/2 - L'Europa ci guarda
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