Il Giappone viene spesso citato come esempio negativo. Perfino in letteratura economica la “sindrome giapponese” è un termine ormai entrato nel vocabolorio corrente, che sta a indicare quel misto di depressione economica e di deflazione che flagella l’isola del Pacifico da ormai un ventennio. Sarà proprio per questo che il neo eletto primo ministro, Shinzo Abe, sembra determinato nell’implementare un piano da 180 miliardi di dollari per dare una sferzata all’economia nipponica.
In che cosa consiste? Abe punta a una crescita del Prodotto interno lordo del 2% già il prossimo anno e alla creazione di almeno 600 mila posti di lavoro. Oltre a investimenti diretti nella ricostruzione delle infrastrutture devastate dallo tsunami e agli aiuti a sviluppo, ricerca e consolidamento delle imprese sui mercati internazionali, il governo punta a un lavoro congiunto con la Banca centrale (BoJ) per lottare contro la deflazione e lo yen troppo forte. In sostanza, questo significa una politica monetaria molto più espansiva che in passato e un aumento della spesa pubblica, insomma il contrario di quanto sta avvenendo in Europa.
Un piano dall’esito incerto
“Tanto per cominciare, il primo ministro Abe ha dato alla Banca del Giappone un obiettivo di inflazione del 2%, molto più elevato del precedente 1%. Abe punta anche a importanti stimoli fiscali e a un programma di acquisto di titoli di Stato da parte della Banca del Giappone”, spiega Franklin Allen, docente di finanza alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania, intervistato da Morningstar. “Ora tutti si chiedono quali saranno gli effetti di queste azioni. Se si fa in piccole quantità, sembra non avere un grande effetto, specialmente in economie già sviluppate. È molto difficile dire oggi quali saranno le conseguenze sul Giappone, anche perché il programma di acquisto di titoli di Stato giapponesi partirà nel 2014, eppure il tasso di cambio yen/dollaro è già sceso del 9% nelle ultime sei settimane”.
“Nel Regno Unito, dove il quantitative easing c’è già stato in proporzioni piuttosto grandi e la Banca d’Inghilterra detiene una forte quantità di debito pubblico a bilancio, è nata una discussione sul passo successivo da fare”, prosegue il professor Allen. “Alcuni esponenti, anche autorevoli, hanno suggerito di stampare moneta svalutando il debito, invece di continuare a comprare titoli di Stato. Sarà interessante vedere quanto ci metterà il Giappone ad arrivare alla stessa conclusione”.
Quello che manca è la competitività
Negli ultimi dieci anni tutti hanno affermato di non voler diventare il prossimo Giappone. Eppure, è innegabile che i paesi occidentali si stanno avvicinando sempre più alla “sindrome giapponese”. Dopo circa cinque anni di crisi non si può certo dire di esserne usciti, anzi, l’Europa e in parte gli Stati Uniti sono proprio alle prese con una crescita economica nulla o negativa e con un'inflazione ai minimi storici.
Uno yen più debole avrebbe senz’altro un effetto positivo per le aziende giapponesi, ma rimarrebbe comunque una medicina efficace solo nel breve periodo. “In Giappone stanno già calcolando quanto i profitti di Honda, Toyota e Sony potrebbero migliorare per ogni punto percentuale di svalutazione dello yen contro il dollaro. Ma purtroppo, il problema vero è la mancanza di competitività di queste aziende”, afferma Allen. “Parliamo di società che vent’anni fa erano leader incontrastate dei loro settori e che oggi si trovano sempre più in difficoltà sul mercato globale, soprattutto a causa del difficile rapporto con la Cina che frena le esportazioni e della concorrenza delle aziende coreane che stanno facendo molto bene”.
Insomma, l’unica via che sembra percorribile è implementare un programma di stimoli monetari e fiscali per migliorare la situazione nel breve periodo, guadagnando tempo per poter introdurre le necessarie riforme strutturali. Riforme che interesserebbero molti settori, partendo da quello finanziario, indispensabile per la crescita economica.
Sol levante a Piazza Affari
Oltre ai fondi comuni tradizionali, un modo semplice ed economico per inserire il Sol levante in portafoglio sono gli Exchange traded fund. Su Borsa Italiana sono quotati dodici Etf interamente dedicati al mercato giapponese (metà dei quali a replica fisica), di cui due coperti dal rischio di cambio.
Dei 12 Etf quotati, nove replicano l’indice Msci Japan, il quale offre un’esposizione a circa 300 società giapponesi, large e mid cap, includendo titoli che rappresentano approssimativamente l’85% del mercato e rappresentano le principali società appartenenti ai diversi settori economici. Due replicanti sono invece dedicati all’indice Topix, il quale comprende tutte le società quotate sulla Borsa giapponese, di qualsiasi dimensione, che ad oggi sono circa 1.700. Infine, c’è anche un Etf che replica l’indice Nikkei 225, che contiene i titoli delle 225 maggiori aziende quotate a Tokyo.
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