Chiuse le urne italiane, si è riaperto il vaso di Pandora della crisi europea. E mentre la politica italiana naviga a vista alla ricerca di un governo, gli operatori finanziari continuano a chiedersi quale sarà l’impatto del risultato delle urne sulle vicende del Vecchio continente. “Le elezioni non sono riuscite a produrre un vincitore sicuro e potrebbero portare a un esecutivo instabile”, spiega Dave Sekera, analista di Morningstar. “Questo, in condizioni normali, non sarebbe un problema. La tornata elettorale, tuttavia, ha messo in dubbio la volontà degli italiani di seguire le misure di austerità richieste dalla Banca centrale europea. I mercati sono convinti che le campagne condotte dalla coalizione guidata da Silvio Berlusconi e dal movimento che fa capo a Beppe Grillo si possano trasformare in referendum contro l’euro. Un risultato certo ottenuto dalle elezioni è stato quello di rimettere la situazione europea al centro delle preoccupazioni degli investitori”.
Il quadro macro
I motivi per rabbuiarsi in effetti non mancano. Il tasso di disoccupazione in Europa a gennaio è arrivato all’11,9% dall’11,8% di dicembre. Spagna, Portogallo e Irlanda rimangono i paesi con numero più elevato di senza lavoro. In Italia, a gennaio l’aumento dei disoccupati è stato nettamente superiore alle attese (da 11,2% a 11,7%) arrivando ai massimi storici. In Germania la situazione rimane invece solida, con la disoccupazione al 6,9% a febbraio (+0,1%). La seconda lettura degli indici dei direttori d’acquisto (Pmi, Purchasing managers index) di febbraio ha visto una revisione al rialzo di sei decimi dell’indicatore composite area Euro, a 47,9, frutto soprattutto del Pmi servizi (passato a 47,9 da 47,3), mentre il manifatturiero è stato rivisto di un solo decimo (47,9 da 47,8 della prima lettura). I dati di Germania e Francia hanno mostrato un andamento simile a quello generale dell’area euro, con una revisione più sensibile per il settore servizi (rispettivamente +6 decimi a 54,7 e +1 punto a 43,7) rispetto a quello manifatturiero. La prima lettura dei Pmi italiani, invece, ha dato segnali negativi, con un calo della componente servizi da 43,9 a 43,6 e soprattutto una discesa di due punti del manifatturiero a 45,8.
Contrastati gli indicatori di sentiment. Stabile la fiducia dei consumatori tedeschi e francesi, in leggerissima ripresa quella delle imprese manifatturiere italiane (88,5 da 88,3 di gennaio), segno più che altro di un trend in fase di stabilizzazione. Positivo l’indice di fiducia elaborato dalla Commissione europea, mentre è peggiorato il sentiment degli investitori, invertendo un trend positivo che durava da diversi mesi. “Sul fronte europeo lo scenario economico resta debole, come confermato anche dalle ultime letture degli indici Pmi, soprattutto se si esclude la Germania che ha invece fornito segnali di tenuta”, spiega un report di Banca Intermobiliare. “A questo proposito non vanno trascurate le prese di posizione di alcuni rappresentanti politici europei sui piani di austerity dopo il risultato elettorale italiano. Lo stesso Olli Rehn, in occasione della riunione dell’Eurogruppo, ha dichiarato che in alcuni casi la debole crescita economica potrebbe giustificare una revisione delle scadenze fissate per il rientro dei deficit di bilancio. Per quanto si tratti di aperture significative, è comunque difficile che giungano concessioni importanti da parte della Merkel prima delle elezioni in Germania del prossimo autunno”.
Le scelte operative
Non tutti vedono nero, però. “I tempi più difficili in termini di rischio europeo sembrano essere alle spalle grazie all’impegno dichiarato dalla Bce nei confronti della moneta unica dei paesi membri e dei mercati di capitali in generale”, spiega una nota firmata da Martin Moeller responsabile dei portafogli azionari globali e Svizzera e gestore del fondo Ubam 30 Global Leaders di Union Bancaire Privée. “Il 2012 è stato il primo anno dopo un lungo tempo privo di importanti picchi della volatilità e ha restituito agli investitori un po’ di fiducia. Ha inoltre permesso una significativa espansione dei multipli azionari dopo un lungo periodo di compressione. La combinazione dell’attendismo delle Banche centrali, di bassa crescita economica e di bassa volatilità potrebbe contribuire ad un ulteriore calo del premio di rischio azionario rispetto a livelli che sono ancora elevati. Il solo annuncio della fine delle misure non convenzionali attualmente utilizzate potrebbe innescare una rotazione significativa dalle obbligazioni verso altre asset class, azioni incluse”.
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