Negli indici dell’est Europa la Russia è un pezzo da novanta (nell’Msci Em emerging Europe pesa per quasi il 76%), ma la Borsa di Mosca ha largamente deluso negli ultimi dodici mesi. Il Micex ha perso il 6,1% in valuta locale, contro il 13,5% dell’S&P500, con una sotto-performance quasi del 20%. Più in generale, l’ingranaggio delle azioni russe sembra inceppato da tre anni e oggi il mercato è il più economico tra quelli emergenti.
Trappola del valore
Manolis Davradakis, senior economist di Axa Im, parla di “trappola del valore” per tre ragioni. “La prima è che il premio per il rischio richiesto dagli investitori è alto”, spiega, “perché il mercato ha un’elevata volatilità. La seconda ragione è che il ritorno da dividendi è inferiore agli altri paesi emergenti (solo la Corea del sud fa peggio). La terza è che il paniere è poco diversificato, con un’alta concentrazione in titoli energetici (60% dell’Msci Russia), a cui seguono a distanza i finanziari (15%) e i materiali di base (11%). Questi tre settori sono tutti ciclici, con multipli bassi”.
Le aziende russe hanno macinato utili negli ultimi 15 anni, realizzando il secondo più alto tasso di crescita degli utili per azione (earning per share, Eps) su base annua, dopo la Cina (il confronto è solo tra i paesi emergenti). Per Davradakis, questi livelli non sono sostenibili in futuro, perché le previsioni sui prezzi del petrolio, che sono stati il fattore determinante, sono più moderate. La domanda di greggio, dicono le principali agenzie internazionali, è in declino e la tassazione è sfavorevole al settore energetico.
Investitori alla larga
“Se consideriamo tutti questi elementi”, sostiene l’economista, “il mercato appare valutato equamente”. Agli investitori internazionali, ciò non basta, perché sono disposti a sostenere maggiori rischi in cambio di una crescita degli utili reale e di qualità. Per tali ragioni, preferiscono altre aree, con conseguenti performance deludenti per la Borsa di Mosca.
Prezzi surriscaldati
Sul fronte macro, la Russia deve fare i conti con il rallentamento dell’economia globale. Si stima una crescita del Prodotto interno lordo del 3,3% nel 2013, dopo il 3,8% del 2012. Siamo lontani dal 7% precedente la crisi finanziaria del 2008 e il 4,3% della prima fase di ripresa (2010-11). Per Davradakis, lo sviluppo passa ora dalla domanda interna. Da un lato, i presupposti ci sono, perché i salari sono in aumento e la situazione creditizia solida; dall’altro, però, l’inflazione al 7,3% in febbraio erode il potere di acquisto ed è sopra il target fissato dalla banca centrale al 5-6%. Quest’ultima, da parte sua, riceve pressioni per abbassare i tassi, ma è frenata dalla necessità di riportare sotto controllo il caro-vita.
Il prezioso oro nero
Il governo sta intraprendendo delle azioni per migliorare la posizione della Russia nella classifica della Banca mondiale dei paesi in cui è più facile fare business, con l’obiettivo del ventesimo posto nel 2018 su un totale di 185 nazioni. “Le riforme impiegheranno un po’ per dare frutto”, dice l’economista di Axa Im, “Fino ad allora, l’economia dovrà continuare a fare affidamento sulle entrate fiscali generate dal settore energetico, mentre il deficit del bilancio governativo escluso il petrolio si è ampliato, passando dal 9,6 al 10,6% tra il 2011 e il 2012. Anche il punto di pareggio del prezzo dell’oro nero degli Urali è aumentato, segnalando che le finanze pubbliche sono più sensibili alle oscillazioni del prezzo a livello internazionale”. Il governo è comunque corso ai ripari, con misure di contenimento e riduzione del deficit, senza compromettere la possibilità di sostenere la congiuntura.
Sul fronte obbligazionario, il mercato dei titoli di stato è stato aperto agli investitori esteri in febbraio, tuttavia non ci sono state grande variazioni e anche il rublo, si legge in una nota di Raiffeisen capital management, ha avuto un andamento laterale a causa del ribasso dei prezzi del petrolio.
Mosca nei fondi
Nei fondi comuni e negli Etf (Exchange traded fund) specializzati sui mercati emergenti europei, la Russia pesa per oltre il 50%. Esiste, tuttavia, una categoria che esclude tale paese e investe nel resto dell’Europa orientale. Negli azionari emergenti globali, Mosca pesa in media poco più del 6%. Tra gli obbligazionari Emerging Europe la Federazione rappresenta meno del 3%.
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