Il debito dei mercati emergenti non è più quello di una volta. Mentre prima veniva considerato uno degli asset più rischiosi in cui investire, ultimamente, anche grazie alle crisi dei mercati sviluppati come Stati Uniti ed Europa, è diventato uno degli asset preferiti dagli investitori in cerca di rendimento e di stabilità. Il JP Morgan Emerging bond index global (JPM Embig) negli ultimi 10 anni (e calcolato in euro) ha guadagnato quasi il 9% (annualizzato). Il mercato, intanto, si interroga se, a questo punto, il debito dei mercati emergenti sia una bolla che può scoppiare da un momento all’altro.
Sale il rating, scende la volatilità
Una delle caratteristiche che hanno attirato un numero sempre maggiore di investitori è stato il miglioramento del merito di credito (il cosiddetto rating). Nel 1993 meno del 2% dei bond dedicati ai paesi in via di sviluppo riusciva a entrare nella categoria chiamata investment grade (quella considerata più tranquilla). Oggi sono il 65%. Il merito di questo cambiamento di percezione va essenzialmente a tre elementi.
Primo: l’aumento dei prezzi delle materie prime che ha reso i mercati emergenti (da dove queste materie prime arrivano) più ricchi.Secondo: l’aumento dei commerci fra questi stati e il resto del mondo, che ha fatto affluire più capitali stranieri.Terzo: le riforme strutturali portate avanti da molti governi di paesi in via di sviluppo che hanno ridotto (e a volte eliminato) molti dei rischi politici e sociali che inserivano quegli stati nelle liste delle zone a rischio.
“Tutti questi elementi insieme hanno contribuito anche a far diminuire la volatilità di questa asset class”, spiega uno studio firmato da Brian Drainville e John Carlson, rispettivamente direttore della ricerca e gestore di Fidelity Investments. “Questo indicatore, per quanto riguarda gli emerging market bond, è in fase discendente da almeno due decenni. Vale la pena ricordare anche che il debito dei mercati emergenti è stato il primo asset a recuperare terreno dopo la bancarotta di Lehman Brothers nel 2008”.
Meno yield, più diversificazione
Calo della volatilità unito ad alto rendimento sono un mix che piace molto agli investitori: permette di essere pagato per correre un rischio che (probabilmente) non si materializzerà. “Questo è quello che è successo negli ultimi dieci anni”, continua lo studio. “Il problema è che oggi questi bassi rischi sono incorporati nel valore dei bond. In altre parole i differenziali di rendimento e lo yield in generale sono calati di riflesso alla diminuzione dei pericoli”.
Alla luce del cambiamento della struttura che sta interessando gli emerging market bond, quindi, probabilmente gli investitori dovranno cambiare le loro strategie e il modo in cui utilizzano questo asset all’interno dei loro portafogli. Una delle caratteristiche di cui bisogna tenere conto è la diversificazione geografica.
Per convenzione si dice che il mercato del debito emergente è nato nel 1993 con il lancio dell’indice JPM Embig. Il paniere era composto da 14 paesi (che rappresentavano il 9% del Prodotto interno lordo mondiale). Tre di questi (Argentina, Brasile e Messico) vi avevano un peso al 20% ognuno. Oggi l’indice fotografa l’andamento del debito di una cinquantina di stati che formano il 40% del Pil globale e contano l’80% della popolazione mondiale. Anche i confini sono cambiati. Oggi l’America latina forma il 45% del benchmark (all’inizio era l’80%) mentre il resto è rappresentato da Asia, est Europa e Medio oriente.
I rischi
Tutto questo non significa che i bond dei mercati emergenti siano privi di rischi. Il primo è la durata (o duration): 7,5 anni di media contro scadenze più corte per i porti sicuri più tradizionali. Con un lasso temporale più ampio aumentano le possibilità che accada qualcosa di negativo. Le duration maggiori, inoltre, tendono a fare peggio in uno scenario in cui si prevedono degli aumenti dei tassi di interesse. Va aggiunto, però, che gli yield dati da questo asset possono fare da scudo contro l’inflazione che si registra in molti paesi del mondo.
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