La crisi del debito ha portato il rischio politico in Europa e scardinato i parametri di valutazione utilizzati da investitori e imprenditori. In passato, questo fattore era usato in modo quasi esclusivo per i paesi emergenti. Si metteva in conto che l’esposizione a queste aree richiedesse un “premio” rispetto alle regioni sviluppate per essere ripagati dal rischio di possibili perdite legati a disordini, interventi legislativi sfavorevoli o espropri. Gli indicatori più usati erano quelli basati sulla solvibilità di uno stato, come lo spread rispetto ai titoli governativi più sicuri (ad esempio il Bund tedesco) o i Credit default swap (Cds), che sono strumenti che trasferiscono il rischio di credito.
Essendo cambiata la mappa geografica del rischio, queste misure sono oggi inadeguate. Lo spread tra il Btp italiano e il Bund si è allargato negli ultimi anni, ma non per questo si può dire che è necessario un “premio” simile a quello che serve per investire in azioni di un paese emergente, dal momento che l’Italia è all’interno dell’Eurozona ed è soggetta ai suoi vincoli e alle sue regole. Per contro, i differenziali sul debito sovrano di alcuni stati in via di sviluppo con forti riserve valutarie estere appaiono sorprendentemente bassi se si guarda al fattore “politico”; tuttavia l’investimento in Borsa è assai più rischioso. Questi indicatori, dunque, funzionano bene se il rischio politico e sul debito sovrano sono molto correlati; meno negli altri casi. Soprattutto, valgono per il reddito fisso, ma non sono sufficienti per valutare l’investimento azionario. Per quest’ultimo un’alternativa è un modello basato sui dividendi attesi, che sconta il rischio specifico di mercato.
Gli scenari post-crisi del debito europeo sono resi ancora più complessi dal “rischio di contagio”. Siccome i mercati sono fortemente interdipendenti, quello che succede in un paese influenza non solo la Borsa domestica, ma a cascata anche le altre. Di conseguenza, la diversificazione geografica può non essere sufficiente a garantire una minor volatilità complessiva del portafoglio.
In questo numero di Morningstar Investor abbiamo ridisegnato la mappa del rischio politico alla luce delle trasformazioni degli ultimi decenni. Un focus particolare è stato riservato all’Italia, alla Germania e agli Stati Uniti, che sono stati o saranno interessati da tornate elettorali. Abbiamo ripercorso la storia economica e finanziaria degli ultimi cinquant’anni, combinandola con quella politica. Ogni paese fa storia a sé, ma in tutti e tre i casi emerge come le elezioni possano generare volatilità nel breve, successivamente conta la capacità dei governi di portare avanti i programmi e le riforme.
Al di là delle formule matematiche e degli scenari macro, il rischio politico si è insinuato prepotentemente nei portafogli degli investitori, anche di quelli più prudenti. Come spiega Dario Portioli, CFA, analista di Morningstar, i fondi governativi in euro un tempo erano un parcheggio sicuro per i propri risparmi, dal momento che il principale rischio era rappresentato dalle variazioni dei tassi di interesse. Oggi, invece, la principale incognita è rappresentata dalla capacità dei governi di ripagare l’enorme montagna di debiti. Il mare quieto dei Btp e dei suoi cugini esteri è ora diventato tempestoso.
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