Sono circa cinque anni che l’industria del risparmio previdenziale aspetta l’approvazione definitiva del decreto ministeriale 703/96, che regola i limiti agli investimenti e i conflitti d’interesse per i fondi pensione. Approvazione che ora sembra davvero ad un passo. Infatti, dopo le polemiche suscitate dalla bozza pubblicata lo scorso giugno, e dopo quasi un anno di discussioni e di modifiche, il testo è pronto e stavolta è davvero quello definitivo.
L’impasse politico degli ultimi mesi ha per forza di cose bloccato l’iter legislativo. Ora, dopo che il governo ha ottenuto la fiducia delle Camere, sono attese le firme del ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, e di quello del Tesoro, Fabrizio Saccomanni, che dovrebbero sigillare l’approvazione definitiva del decreto.
Nodo trasparenza
Dalle prime indiscrezioni, sembra rimanere per i fondi pensione la possibilità di investire in strumenti derivati, in hedge fund e in titoli non quotati, nonostante fosse questo tra i punti più criticati. “Purtroppo non abbiamo avuto la possibilità di esaminare il testo del decreto post-consultazioni e quindi non conosciamo i dettagli”, commenta Fabio Ortolani, presidente Fonchim e responsabile della previdenza complementare dell’Associazione generale cooperative italiane. “Noi ci eravamo espressi contrari al possibile utilizzo di strumenti complessi, ma se restasse questa opzione, ci auguriamo che venga accompagnata da opportuni provvedimenti riguardanti la trasparenza e il controllo”.
Da questo punto di vista, in realtà, qualcosa è già stato fatto. Nel marzo 2012 la Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) ha obbligato i fondi a munirsi di un apposito comitato finanziario, ovvero un organo che faccia da tramite tra i gestori e il consiglio d’amministrazione. “Il problema è che solo i fondi con capacità economiche importanti, che sono la minoranza, sono stati in grado di crearlo in casa”, spiega Ortolani; “gli altri hanno dovuto affidarsi a consulenti esterni e non sempre questa è la soluzione migliore. Perciò penso che l’eventuale utilizzo di strumenti complessi dovrebbe essere lasciato solo ai fondi in grado di gestirli e di controllare i rischi”.
Il buon padre di famiglia
L’obiettivo del decreto è chiaro: responsabilizzare i fondi pensioni e dotarli di una struttura più ampia. Ma se anche i comparti previdenziali potranno investire in azioni dei mercati emergenti, in strumenti derivati, in obbligazioni bancarie e perfino in fondi hedge, è normale chiedersi che differenza ci sia con i fondi comuni tradizionali. “Il nodo è proprio questo”, prosegue Ortolani. “Non dobbiamo mai dimenticarci che il nostro scopo è fornire una pensione, non perseguire il maggior profitto. Occorre sempre ragionare con la logica del buon padre di famiglia. Perciò sarebbero necessari anche dei limiti quantitativi chiari e precisi, che obblighino comunque i fondi pensione a una forte diversificazione”.
Fa capolino Solvency II
Nelle ultime settimane si è anche parlato della possibilità che la Commissione europea estenda la direttiva Solvency II ai fondi pensione. Se così fosse, il settore previdenziale e assicurativo sarebbe soggetto all’accordo sui requisiti minimi di capitale e sulla vigilanza prudenziale firmato a Basilea, già in vigore per le banche.
“Ogni iniziativa che aumenti la sicurezza per i risparmiatori è benvenuta”, commenta il presidente Fonchim. “Certo, sarebbe un nuovo problema per i fondi pensione più piccoli, che difficilmente potranno permettersi una ristrutturazione del genere”.
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