La caccia al valore paga. Soprattutto se l’investitore ha un orizzonte di investimento di lungo periodo e non si pone limiti geografici.
Non è solo questione di prezzo
“Studiando le Borse nel lungo periodo ci siamo resi conto che le azioni che rientrano nella categoria value tendono, a livello di prezzo, a fare meglio di quelle del segmento growth in ogni condizione di mercato e ad avere una minore volatilità”, spiega Alex Bryan, analista di Morningstar. “Questo perché, di solito, trattano con uno sconto maggiore e quindi, avendo più terreno da recuperare, acquistano un valore maggiore”.
Ma il prezzo è solo una delle componenti di un’azione value. L’altra è la capacità dell’azienda emittente di creare profitto. “Questo indicatore è in grado di dimostrare come una società utilizza i suoi asset e i capitali degli investitori”, continua Bryan. Ma mettere a confronto la voce profitti di due società per capire qual è la migliore non è sufficiente. Spesso un’acquisizione fa aumentare, sulla carta, l’utile di un’azienda (sommando quello dell’acquisita con quello dell’acquirente). Ma l’operazione molte volte è un disastro sotto il profilo della produttività (almeno finché l’integrazione non entra a regime). Per questo gli investitori preferiscono utilizzare altri sistemi di misurazione e paragone come, ad esempio, l’utile per azione o il rapporto fra i profitti e gli asset di una società.
Sette anni di profitti
Più semplice, invece, capire chi è in grado di generare profitti nel medio-lungo termine. “Le ricerche dimostrano che uno dei sistemi migliori per comprendere il livello di profitti futuri è vedere quelli attuali”, spiega l’analista di Morningstar. “Analizzando i titoli di Wall Street in un arco temporale che va dal 1975 al 2012 è venuto fuori che nella maggior parte dei casi l’ampiezza della crescita dei profitti di un anno si ripeteva poi per i sette anni seguenti. Questo potrebbe essere spiegato dal fatto che le società migliori sono quelle che riescono a mantenere il miglior vantaggio competitivo sui concorrenti. L’elemento curioso è che solo in pochi casi questi titoli sono riusciti a raggiungere il loro target price”. Un po’ come se il mercato non avesse apprezzato in pieno la loro capacità di mantenere un buon ritmo di crescita degli utili. “C’è poi da considerare che gli operatori movimentano spesso i portafogli e magari decidono di abbandonare un investimento value per dedicarsi a qualcosa che, in quel momento, sembra più interessante”, dice Bryan.
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