Maggio da dimenticare per i mercati obbligazionari: è stato il peggior mese degli ultimi nove anni, con l'indice Merrill Lynch global broad che è sceso dell'1,5%, trainato al ribasso dai titoli di Stato statunitensi (-2%). Ripercussioni si sono avute anche sull’andamento dei fondi governativi area dollaro, che hanno registrato perdite in media dell’1,71% in valuta americana (-0,01% in euro).
Niente bolla
E’ bastato un cenno della Fed a una possibile inversione della politica monetaria per mettere in fuga gli investitori e riaccendere il dibattito sul fatto che il mercato sia in bolla. John Rekenthaler, vice president della ricerca Morningstar, esclude questa ipotesi. “C’è una reale possibilità che l’America possa trovarsi nella stessa situazione del Giappone”, spiega, “con un lungo periodo di bassa crescita, prezzi degli asset stagnanti, ridotta inflazione e rendimenti dei bond ai minimi”. Tuttavia, questa non è una condizione sufficiente per parlare di bolla, al massimo si può sostenere che le quotazioni siano eccessivamente elevate.
Le considerazioni di Rekenthaler scaturiscono dalla nuova definizione di “bolla”, fornita da Cliff Asness fondatore di Aqr capital management (società americana di investimenti alternativi), che ha dato prova di funzionare sui casi passati. Secondo il manager, una “bolla” si ha quando “non ci sono difese plausibili per il prezzo di un titolo”, ossia quando non è possibile dare spiegazioni razionali al livello che ha raggiunto. Ad esempio, le società tecnologiche erano in bolla nel 2000, perché non c’era nessuna “storia credibile” che giustificasse il picco di 5 mila punti del Nasdaq. Allora, si trovarono molte motivazioni nel tentativo di difendere le valutazioni stellari (differenti misure contabili, analogie e termini di paragone), ma i numeri non tornavano. Qualche società era realmente un buon investimento, ma non l’intero listino.
Questa definizione di “bolla” è più restrittiva rispetto a quelle comunemente usate, che non sono misurabili. Il fatto che il mercato obbligazionario sia troppo costoso per alcuni e in bolla per altri e che quindi ci possa essere un margine di errore nella valutazione allontana, almeno per il momento, il rischio di una deflagrazione.
Cosa ci dice il Treasury
Gli analisti, tuttavia, cercano di tracciare gli scenari futuri. Icbpi ha studiato cosa è accaduto ai Treasury durante i cicli restrittivi di politica monetaria degli ultimi 25 anni, rilevando che questi hanno causato una significativa salita dei tassi a lungo, specialmente se in presenza di un incremento delle aspettative di inflazione. Siccome oggi il caro-vita non è all’orizzonte la risalita dei rendimenti, concludono, proseguirà in modo graduale.
La curva dei rendimenti dei titoli di stato americani è considerata un prezioso strumento dagli investitori per i suoi poteri predittivi. Nonostante alcuni economisti abbiano messo in dubbio la validità nel contesto attuale, per Anthony Doyle, del team di reddito fisso di M&G, “la regola generale per cui la differenza fra tassi dei Treasury a 10 anni e a tre mesi diventa negativa prima di una recessione vale ancora, come dimostrano i valori rilevati prima delle crisi del 1990-1991, 2001 e 2008”.
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