L’adesione collettiva al fondo pensione conviene. Morningstar ha messo in relazione le “classi riservate” a chi presenta una caratteristica professionale comune con quelle primarie accessibili a tutti. Il risultato è che le prime mostrano rendimenti più alti delle seconde. Già nel breve termine si crea un differenziale e, spostandosi nel lungo termine, il gap aumenta.
Secondo alcuni gestori, questo fenomeno si spiega con i minori costi di gestione che, sommati ai ridotti costi di entrata e uscita, si traducono in guadagni più alti. Ma non tutti concordano. “Il maggior rendimento non può essere garantito a priori e soprattutto non è condizionato dal costo della gestione”, spiega Nadia Vavassori, responsabile Business Unit SecondaPensione di Amundi Sgr. “Un minor costo anche della gestione finanziaria, comunque, si traduce in un vantaggio per l’aderente in termini di bassa spesa complessiva per la creazione e conduzione del proprio zainetto previdenziale sino alla cessazione dell’attività lavorativa”
L’adesione collettiva nasce da contratti, accordi o regolamenti aziendali che intervengono tra datori di lavoro e dipendenti. Tali classi individuano i soggetti al quale il fondo si rivolge sulla base dell'appartenenza a un determinato comparto, impresa o gruppo di aziende. Sottoscrivere una forma pensionistica complementare di questo tipo è oggi possibile anche in presenza di fondi negoziali di riferimento.
Un mercato in mano alle assicurazioni
Secondo i dati di Morningstar, attualmente sono cinque le società che dispongono di più classi riservate. Ad eccezione di Arca Sgr, le principali sono grandi gruppi assicurativi che da tempo strizzano l’occhio al mondo del lavoro e sono attente a proporre soluzioni alternative.
Da cosa nasce questa strategia? “La scelta di creare all’interno di fondi pensione aperti classi riservate alle adesioni collettive è volta a rilanciare l’adesione alla previdenza complementare. Soprattutto per i lavoratori dipendenti che chiedono una partecipazione anche al datore di lavoro in termini di contributo”, dice Vavassori. “Il quadro macroeconomico non consente attualmente alle imprese di sostenere altri costi oltre quelli obbligatori per legge, pertanto l’offerta deve essere accompagnata da incentivi maggiori per avere successo.”
Ogni azienda può stabilire in maniera flessibile il livello di contribuzione rispetto a quanto previsto nel contratto nazionale di lavoro e in rapporto a quanto il singolo stesso contribuirà. Allo stesso tempo, il datore di lavoro vede riconoscersi specifici vantaggi fiscali e contributivi per attenuare l’impatto finanziario prodotto dalla perdita dei flussi di Tfr.
Un segmento da sviluppare
I dati Covip mostrano come il tasso di adesione ai fondi pensioni collettivi sia molto superiore a quelli settoriali, con punte di oltre l’80%. Il dato però si riferisce ai quei fondi collettivi chiusi, ossia negoziali che sottolineano il legame tra fondo pensione integrativo e realtà aziendale. In linea più generale, anche i fondi pensioni aperti collettivi iniziano la loro corsa sul mercato poiché la percezione è che siano collegati alla politica retributiva complessiva, diventando una sorta di leva motivazionale per il dipendente. L’adesione del singolo lavoratore rimane comunque su base volontaria e deve manifestarsi successivamente alla sottoscrizione del contratto del fondo pensione indicando autonomamente la linea di investimento prescelta.
A detta della Covip, i margini di crescita per i fondi pensione ad adesione collettiva non mancano, specie nei settori in cui i prodotti di previdenza integrativa stentano a decollare. Ad esempio, c’è una maggiore concentrazione degli iscritti nelle aziende con oltre 50 addetti, nelle quali si colloca poco più del 78%, di cui il 34% in quelle con oltre mille addetti. Nelle aziende fino a 50 dipendenti, invece si colloca il restante 22%.
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