L’Europa continua a credere nella fine della crisi. Resta da capire quando questa arriverà. L’indice Msci della regione nell’ultimo mese (fino al 19 luglio e calcolato in euro) ha guadagnato il 2,6%, portando a + 9% la performance da inizio anno. Andamenti dovuti più alle promesse di aiuto fatte (e confermate) dalla Banca centrale europea che non a un vero miglioramento della situazione congiunturale dell’area.
La buona notizia è che la recessione nel Vecchio continente sembra finita. La stima di una sia pur modesta accelerazione, +0,1% nel secondo trimestre, + 0,2% nel terzo e +0,3% nel quarto, è stata fatta da un report congiunto di Istat, Insee e Ifo (gli istituti statistici di Italia, Francia e Germania). I tre enti di ricerca parlano della fine della frenata “dovuta principalmente a un’accelerazione della domanda internazionale trainata dal rafforzamento della ripresa negli Stati Uniti e nei mercati emergenti”.
La svolta non si vede
Questo non basta, però, per dire che la situazione sia arrivata a un punto di svolta. Secondo Eurostat, a maggio 2013 la produzione industriale dell’Eurozona è diminuita dello 0,3% rispetto ad aprile 2013 e dell’1,3% su base tendenziale. Il dato è peggiore rispetto alle previsioni degli analisti che stimavano un calo dello 0,2% su base mensile (-1,4% tendenziale). Nel mese di aprile la produzione era aumentata dello 0,5% nell’Eurozona e dello 0,3% nella Ue. Sempre secondo Eurostat, il debito pubblico dell’Eurozona prosegue la crescita in rapporto al Pil. Alla fine del primo trimestre dell’anno il rapporto tra i due indicatori è salito al 92,2% dal 90,6% segnalato alla fine del 2012 per i 17 paesi della moneta unica. Nella Ue a 27, invece, il debito/Pil alla fine di marzo ammontava all’85,9% in crescita rispetto a fine dicembre (85,2%). A confronto con il primo trimestre dello scorso anno il rapporto debito/Pil è cresciuto sia nell’Eurozona (88,2%) che nella Ue (83,3%). La Grecia guida la non invidiabile classifica del rapporto più alto: 160,5%.
La bomba portoghese
Nel frattempo i mercati hanno dovuto fare i conti con la crisi del Portogallo, definita da diversi analisti “una bomba a orologeria”. Dal maggio del 2011, il primo ministro, Pedro Passos Coelho, ha portato avanti una politica di austerità in cambio dei 78 miliardi di euro del piano di salvataggio finanziario della Troika. Due anni dopo è diventato il bersaglio della frustrazione popolare. Questo perché il rigore non ha dato i risultati attesi. Al contrario, ha fatto piombare il paese nella recessione, con un calo del Pil del 2,3% previsto per quest’anno e un tasso di disoccupazione oltre il 18%. Nei giorni scorsi il presidente del Portogallo, Anibal Cavaco Silva, è intervenuto con un discorso alla nazione trasmesso dalla televisione, nel quale ha dato il suo pieno appoggio al primo ministro e alla coalizione che lo sostiene. Il presidente ha anche escluso la possibilità di andare a elezioni anticipate (ipotesi avanzata dal leader dell’opposizione socialista), dicendo che la soluzione migliore è mantenere in carica l’attuale governo fino alla scadenza del suo mandato.
Le scelte operative
Dal punto di vista operativo gli operatori cercano di essere ottimisti, ma raccomandano cautela. “La situazione in Europa resta stagnante anche se ci sono stati sviluppi positivi in alcuni segmenti”, spiega uno studio di Fidelity Investments. “Gli indicatori in Germania, l’attività immobiliare, e il miglioramento delle esportazioni sono tutti segnali che puntano all’inizio di una fase di recupero. La zona periferica inizia e vedere segni di stabilizzazione del sistema finanziario e una maggiore competitività. Questo segnala che la fase peggiore della recessione è passata”. Resta, tuttavia, una situazione che potrebbe far aumentare la volatilità. “Nel breve periodo l’equity del Vecchio continente potrebbe incorporare nelle valutazione un sentimento di pessimismo”, conclude il report.
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