Tipicamente, si investe in materie prime per due ragioni principali: in un’ottica di diversificazione di portafoglio e per proteggersi dal pericolo inflazionistico. Eppure, questi assiomi dati quasi per scontati potrebbe non essere più così validi in futuro. Secondo un’analisi di Morningstar, infatti, potrebbe essere giunto il momento di ripensare al ruolo che le commodity giocano in portafoglio. Innanzitutto, perché le performance delle materie prime e quelle dei mercati azionari sono molto più legate rispetto al passato.
Stroricamente, infatti, le commodity hanno avuto una correlazione molto bassa (e talvolta anche negativa) con i mercati azionari. Questo perché le materie prime e l’equity tendono a segnare buone performance durante diverse parti del ciclo economico. Il mercato azionario vuole essere proiettato al futuro e tipicamente performa meglio durante la fine delle recessioni e nei primi tempi delle riprese economiche. Invece, la domanda di materie prime funziona al contrario. Di conseguenza, i future dedicati alle commodity hanno dato le maggiori soddisfazioni tra la fine dei momenti di espansione economica e i primi tempi di recessione.
Tuttavia, la correlazione tra materie prime e azioni è sensibilmente cresciuta in questi ultimi anni, in particolare in seguito alla crisi finanziaria del 2008. Negli ultimi dieci anni, l’indice Jones-UBS Commodity e lo S&P 500 hanno segnato un tasso di correlazione dello 0,51, superiore a quello registrato nello stesso periodo tra azioni e obbligazioni corporate investment-grade, pari a 0,30. Il grafico che segue illustra come le correlazioni tra azioni e future su commodity siano cambiate nel corso degli ultimi due decenni.
“Ci sono un paio di possibili spiegazioni per questo recente picco delle correlazioni”, commenta Alex Bryan, analista di Morningstar, in una nota. “Quando c’è una crisi del credito, come ad esempio durante la crisi finanziaria dei subprimes negli Usa o la crisi del debito sovrano europeo, ci si trova in una situazione che si ripercuote sia sull’economia reale che sul mercato azionario globale”. Evidentemente, il rischio legato a questi eventi, e agli shock macroeconomici simili, è maggiore oggi rispetto al passato.
Alcuni commentatori hanno inoltre suggerito che l’aumento di interesse degli investitori nelle materie prime abbia spinto a correlazioni superiori. “Ma qualunque sia la causa, è ragionevole aspettarsi che le correlazioni continueranno in futuro ad essere superiori di quanto non fossero storicamente”, prosegue Bryan. “Naturalmente, questo non significa che le commodity abbiano perso i loro benefici di diversificazione. Sono ancora in grado di offrire migliori opportunità di diversificazione dei titoli azionari internazionali, e con l'economia globale in ripresa, le correlazioni potrebbero iniziare ad attenuarsi”.
Per coprirsi dall’inflazione, meglio i bond indicizzati
Per quanto riguardo la copertura dall’aumento dei prezzi, è senza dubbio vero che le materie prime offrono un buona, anche se non perfetta, protezione dall’inflazione, soprattutto contro l’inflazione statunitense, denominata in dollari, visto che le materie prime sono scambiate in biglietti verdi in tutto il mondo. Tuttavia, “la ragione principale risiede nell’investimento del paniere collaterale (che i fondi e gli Exchange traded commodity utilizzano come garanzia) in titoli di Stato a breve termine, piuttosto che nell’evoluzione del prezzo spot della commodity in sé. La realtà è che se l’obiettivo è coprirsi dal pericolo inflazionistico, è forse più efficace puntare su bond indicizzati all’inflazione”, afferma Bryan.
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