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L'Asia fa lezione sui mercati di frontiera

La storia dei paesi sviluppati della regione e la direzione dei loro investimenti possono dare indicazioni sul futuro di quelli che sono in rampa di lancio per entrare nell'arena dell'economia e della finanza globali. 

Marco Caprotti 08/08/2013 | 11:38
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Per capire cosa succederà ai mercati di frontiera può essere utile studiare la storia dei loro vicini sviluppati. Anche se gli andamenti generali potranno essere diversi, dicono gli operatori, alcuni elementi possono dare comunque la misura del potenziale delle regioni e degli stati che si stanno mettendo in rampa di lancio per crescere.

Un sentiero segnato
L’esercizio è particolarmente indicato in Asia dove, accanto a colossi economici come il Giappone e la Corea del sud, ci sono paesi che iniziano adesso ad affacciarsi al palcoscenico della finanza e dei commerci internazionali. Un punto di partenza può essere il prodotto interno lordo (Pil). Quello delle zone di frontiera asiatiche varia da un minimo di mille dollari per arrivare a un massimo di 3mila dollari pro capite. Il valore più basso della forchetta è l’equivalente (fatti i debiti aggiustamenti) di quello registrato dal Giappone negli anni ’60, di quello sudcoreano alla fine degli anni ’70, di quello della Thailandia alla fine degli anni ’80 e dalla Cina all’inizio del 21esimo secolo.

“Viene da dire che i mercati di frontiera della regione siano nella direzione giusta per seguire il cammino segnato da quelli che oggi sono i paesi più sviluppati della zona”, spiega uno studio di Matthews Asia Funds. “Una considerazione che trova supporto anche nel fatto che molti fra gli stati della categoria developed sono quelli che oggi stanno investendo più di tutti, in termini monetari e di competenze, nelle frontier regions”. Secondo i dati della Association of Southeast Asian Nation (Asean) l’80% dei fondi internazionali che arriva in Birmania parte da Cina, Hong Kong, Thailandia e Corea del sud. Taiwan e il Giappone sono molto presenti in Vietnam, mentre il Sol levante da solo, fra il 2005 e il 2011, ha investito nell’area Asean quasi 10 miliardi di dollari (più che in Cina).

Le Borse crescono
Un altro elemento che fa ben sperare è lo sviluppo che stanno vedendo le Borse di frontiera. Quella dello Sri Lanka, ad esempio, a fine giugno di quest’anno contava 280 società quotate: il 20% in più rispetto a cinque anni fa, prima che finisse la lunga guerra civile. La piazza del Vietnam tratta i titoli di circa 700 aziende. Un bel salto rispetto alle due del 2000. “I mercati di capitali sono una buona calamita per far arrivare gli investimenti internazionali e dovrebbero contribuire allo sviluppo di questi mercati di frontiera”, continua lo studio. “Allo stesso tempo l’interesse degli operatori internazionali potrebbe accelerare i processi di miglioramento delle pratiche di corporate governance e di trasparenza dei bilanci. Certo, a livello regolamentare c’è ancora molto da fare, ma i progressi registrati dagli stati più sviluppati potrebbero essere un buon esempio”.

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Info autore

Marco Caprotti

Marco Caprotti  è Giornalista di Morningstar in Italia.

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