Con un piede in Nord America e uno nel sud del continente, Duke Energy si è trasformata nel tempo in una delle maggiori società energetiche a livello mondiale non solo nel campo nucleare. Merito anche del matrimonio con Progress Energy che dovrebbe portare a un risparmio di costi, a regime, del 5%-7%. A questo si unisce una buona capacità contrattuale. “Il gruppo, negli stati dove opera, deve ottenere l’ok delle amministrazioni locali alle tariffe che intende imporre”, spiega Andrew Bischof, analista di Morningstar, che sul titolo ha un rating di tre stelle (che equivale a un consiglio di tenere le azioni in portafoglio) con un obiettivo di prezzo di 69 dollari. “Gli ultimi accordi che ha siglato gli hanno permesso di alzare i prezzi”.
Nel secondo trimestre di quest’anno, il gruppo ha registrato un utile per azione di 0,87 dollari, in calo rispetto agli 1,02 dollari dello stesso periodo del 2012. “Il risultato è stato condizionato da eventi straordinari come i costi sostenuti per la fusione con Progress e una svalutazione operata a seguito della chiusura di un piccolo impianto nucleare”, continua l’analista. Il management, da parte sua, ha confermato la sua previsione di un utile per azione 2013 compreso fra i 4,20 e i 4,50 dollari e di un dividendo di 3,12 dollari (+2% rispetto a quello staccato nel 2012).
Un piede in Brasile
Sul fronte internazionale il gruppo può contare su una forte presenza in Brasile, dove gestisce l’impianto idroelettrico di Paranapanema. “Anche qui Duke è riuscita a raggiungere un buon accordo sulle tariffe con le autorità locali che viene rivisto annualmente anche in base all’andamento dell’inflazione”, spiega Bischof. “Si tratta di attività che non fanno parte di quella principale, ma che danno comunque una buona diversificazione e discreti flussi di cassa”.
I pericoli
I rischi comunque non mancano, sia per la società che per gli investitori. “Il gruppo ha un piano di investimenti molto aggressivo, anche perché gli impianti nucleari hanno bisogno di una manutenzione molto attenta”, dice l’analista di Morningstar. “Il management, quindi, deve discutere spesso un aumento delle tariffe e questo può portare a dei problemi con le comunità dove opera. Dal punto di vista operativo, il rischio è legato a un aumento dei tassi di interesse che di solito spinge gli investitori verso titoli che danno un rendimento maggiore”.
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