L’Abenomics funzionerà davvero? Il mercato inizia a nutrire qualche dubbio sull’efficacia della manovra economica introdotta dal primo ministro giapponese Shinzo Abe per dare la spinta alla congiuntura nipponica. Perplessità che sono ben evidenziate dall’andamento di Borsa. L’indice Msci del Sol levante nell’ultimo mese (fino al 15 ottobre) ha guadagnato lo 0,4%, portando a +21,1% la performance da inizio anno.
Certo, il rallentamento è da attribuire in qualche misura alle prese di profitto che seguono ai forti rally. Ma è anche la rappresentazione grafica dell’idea che il programma governativo, che si fonda sul lancio in successione di tre “frecce” (come le ha chiamate Abe) che hanno l’obiettivo di creare reflazione nell’economia, attraverso una massiccia espansione del bilancio della Banca del Giappone e il conseguente indebolimento dello yen, stimoli di politica fiscale e riforme strutturali, da solo non possa bastare. “Le autorità giapponesi probabilmente non sono mai state così tanto determinate nell’affrontare il problema della deflazione”, spiega Andreas Utermann, responsabile degli investimenti di Allianz Global Investor in un documento che tira le somme del secondo investment forum di quest’anno. “Tuttavia i piani di Quantitative easing, ovvero gli stimoli monetari straordinari adottati negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nell’Eurozona, non hanno avuto grandi effetti sulla ripresa della crescita negli ultimi anni. Pertanto, senza le necessarie riforme strutturali e l’apertura del Giappone all’immigrazione per affrontare il problema demografico, l’Abenomics difficilmente riuscirà nel suo intento e dovrà essere archiviata nel corso dei prossimi due anni”.
Dopo l’Abenomics
Nel frattempo, fra gli effetti che si vedrebbero sul mercato potrebbero esserci un indebolimento dello yen (che spingerebbe verosimilmente il mercato azionario) e un andamento relativamente positivo dei titoli governativi giapponesi, grazie all’intenzione della Banca del Giappone di detenerne una parte significativa. “Quando l’Abenomics alla fine dovrà rientrare, potrebbe verificarsi un temporaneo apprezzamento dello yen, accompagnato da rendimenti ancora molto bassi per i bond giapponesi e da un ritracciamento del mercato azionario. Nel lungo periodo, questa situazione si rivelerà instabile e a un certo punto, in un futuro che i politici non hanno ancora preso in considerazione, una grave crisi potrebbe causare il tracollo dello yen e la ridistribuzione dei risparmi in Giappone allo scopo di finanziare il debito, con implicazioni di rilievo per il sistema finanziario globale”.
Le prime bastonate
Nel frattempo, dopo tante carote, arrivate sotto forma di manovre di stimolo economico, per il Giappone sembra essere giunto il momento del bastone. Il premier Abe, nel tentativo di andare a intaccare quello che è il più grande debito pubblico del mondo (in euro oltre 7 mila e 500 miliardi) ha annunciato per aprile l’aumento dell’Iva dal 5% all’8%. Per il Paese del Sol Levante si tratterà del primo innalzamento da 15 anni a questa parte. L’introito calcolato per le casse dello Stato ammonterebbe a circa 60 miliardi di euro l’anno. Abe, al culmine della popolarità grazie alle misure che hanno rilanciato la stagnante economia giapponese, vuole però attutire l’impatto della manovra. Per questo, ha detto che lancerà anche un nuovo piano di stimolo da quasi 38 miliardi di euro.
La decisione di agire sull’imposta è arrivata dopo la pubblicazione del rapporto Tankan elaborato dalla Bank of Japan, che ha segnalato un rafforzamento della fiducia delle imprese superiore alle attese. Nel sondaggio trimestrale, il Diffusion Index per i grandi gruppi manifatturieri è salito a quota 12 punti, contro le attese di otto e rispetto a quattro nel trimestre aprile-giugno. Si tratta del terzo trimestre consecutivo di miglioramento, con la lettura più ottimistica dal dicembre 2007. L’indice per le grandi società non manifatturiere è salito a 14 da 12: il livello più alto dal 16 registrato nel dicembre 2007. Tuttavia a settembre le grandi imprese hanno indicato di voler ridimensionare la crescita dei loro piani di investimento per il corrente anno fiscale al 5,1% (rispetto al 5,5% di giugno).
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