L’Europa dell’est va ancora trattata con le pinze. Il consiglio viene dall’ultimo report sull’area preparato dal Fondo monetario internazionale secondo cui la parte emergente del Vecchio continente è ancora troppo fragile e reagirebbe male a delle cattive notizie dal fronte della crescita mondiale.
La ripresa registrata dall’indice Msci della regione (+3,1% calcolato in euro nell’ultimo mese, che ha portato a -0,7% la performance da inizio anno), quindi, sarebbe un riflesso dei segnali di risveglio che si avvertono negli Stati Uniti e, soprattutto, nella parte occidentale dell’Europa. “I paesi della parte centrale ed est del Vecchio continente sono sotto pressione fin da primavera, da quando cioè la Federal Reserve ha parlato di ridurre le iniezioni di liquidità spingendo gli investitori a spostarsi per andare in Usa”, spiega lo studio preparato dagli economisti dell’Fmi guidati da Bas Bakker e Kristoph Klingen. “Quando poi a settembre la Banca centrale americana ha deciso di andare avanti con il programma di aiuti all’economia qualche investitore è tornato. Ma la maggior parte è stata spaventata dalle prospettive di crescita dell’est Europa che, nel frattempo, sono peggiorate”.
Russia e Polonia frenano
Secondo le stime dell’Fmi il Pil della zona emergente del Vecchio continente quest’anno crescerà dell’1,7% che potrebbe diventare il 2,7% nel 2014. “L’andamento del 2013 è più debole a causa soprattutto della debolezza di Russia e Polonia”, continua lo studio. “I due paesi hanno contribuito a dare una spinta a tutta la regione nel corso della crisi del 2007-2009 grazie soprattutto ai consumi interni. Ma ora anche questo elemento sta venendo a mancare”. Il risultato è che la regione è in una posizione delicata. Soprattutto se dovessero riemergere segnali di un rallentamento dell’Europa occidentale che è poi il mercato di riferimento per le aziende di quella regione. “Un andamento deludente di Eurolandia non farebbe altro che peggiorare il calo della produzione delle aziende dell’est”, dice il report.
“Salvate le banche”
Se le cose da questa parte del continente dovessero peggiorare, tra l’altro, i paesi della regione emergente avrebbero poche armi a diposizione per difendersi. “In una situazione del genere diventa difficile fare delle politiche che promuovano, ad esempio, le assunzioni”, spiega il Fondo. “Soprattutto se si considera che molti stati, per rimettere a posto i conti pubblici, dovranno probabilmente introdurre delle misure di austerità”. La soluzione a tutti questi problemi per l’Fmi è scontata. “Bisogna rimettere in sesto il sistema finanziario, riducendo gli ostacoli che impediscono alle banche di liberarsi dei crediti difficili da esigere. Questo avrebbe un effetto benefico sul costo dei prestiti delle banche al settore privato”.
Le scelte operative
Al pessimismo dell’Fmi fa da contraltare l’ottimismo degli operatori sui paesi emergenti in generale. “Gli investitori possono avere delle preoccupazioni legittime sui problemi strutturali dei paesi emergenti, ma non si tratta di elmenti nuovi e, in molti casi, rappresentano le fondamenta su cui queste zone hanno costruito la loro crescita veloce”, spiega uno studio firmato da Christopher Laine e Gaurav Mallik, rispettivamente Senior portfolio manager e Senior strategist e portfolio manager di State Street Global Advisor. “Per chi ha una scarsa esposizione a questo tipo di asset class potrebbe essere arrivato il momento di aumentare l’allocation, mettendo l’enfasi sulle opportunità che le singole aziende di ogni paese possono dare”.
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