Meglio inserire anche il Corano nella biblioteca dei testi finanziari. Il segmento dei fondi di investimento che seguono i precetti islamici, infatti, sta registrando una crescita dei fondi attivi e mostra andamenti positivi nel breve e nel lungo termine.
Il segmento dei fondi di investimento che seguono i precetti islamici, infatti, sta registrando una crescita dei fondi attivi e mostra andamenti positivi nel breve e nel lungo termine.
Secondo i dati Morningstar (aggiornati al 24 ottobre) in termini di rendimenti netti, la media per quelli europei è di oltre quattro punti percentuali da inizio anno e a un anno, mentre quelli americani hanno segnato +11% da inizio anno e +12,94% a un anno, raggiungendo nel lungo termine +15,54%.
Attualmente, il totale degli asset gestiti in questo modo è di 1.600 miliardi di dollari, (circa l’1% del totale delle attività finanziarie globali) con un tasso di crescita nell’ultimo decennio tra il 10-15% annuo. Entro la fine dell’anno dovrebbe raggiungere i 1.900 miliardi e nel 2020 circa 5mila dollari (dati e stime dell’Islamic Financial sharia board, Ifs).
I fondi sharia compliant (ossia che rispettano i principi islamici dettati dal Corano) sono 671 a livello globale, di cui 101 disponibili a investitori retail europei e solo sei a quelli americani. “Nell’Unione europea il fenomeno è ancora allo stato embrionale, ma una serie di fattori ne fanno immaginare un ulteriore sviluppo”, si legge in una nota della Bce pubblicata in occasione del Forum sulla finanza islamica. “L’Europa si classifica ai primi posti come area geografica di destinazione degli investimenti di fondi, assicurazioni e banche islamiche anche se molto al di sotto degli Usa.”
Permessi e divieti
Ma cosa hanno dentro questi fondi? Tutti partono dal presupposto di rispettare i principi dello Sharia: Riba (divieto di chiedere interessi), Maisir (speculazione) e Gharar (usura e contratti ambigui).
Riba (divieto di chiedere interessi), Maisir (speculazione) e Gharar (usura e contratti ambigui).
I fondi obbligazionari investono parte del loro patrimonio in strumenti chiamati sukuk (a tasso variabile, fisso, indicizzati, subordinati e convertibili), come ad esempio titoli governativi e/o sovranazionali, strumenti di credito emergente, obbligazioni corporate e/o convertibili che rispettano i principi del Corano.
Quelli azionari, invece, escludono banche e holding finanziarie (proprio per il divieto di percepire interessi e speculare), aziende del cosiddetto Haram (termine che racchiude tutte quelle produzioni considerate illecite dall’Islam come alcolici o armi, passando dal trattamento dei suini nelle aziende alimentari). Se, inoltre, il rapporto tra debito totale e capitalizzazione risulta superiore o uguale a 1/3, il titolo è escluso. Fuori dalla lista anche chi eccede di un terzo nel rapporto tra la liquidità (sommata ai titoli che generano dividendi) e la market cap. Infine, bollino rosso per le società che hanno un elevato rapporto tra crediti che producono interessi moratori e, ancora una volta, la capitalizzazione.
Marce e freni all’italiana
Quello dei fondi sharia compliant è un segmento cui anche l’Italia inizia a guardare seriamente come strumento di diversificazione degli investimenti. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nell’introdurre i lavori al quarto Forum della finanza islamica ad aprile ha riconosciuto la finanza islamica come “un’opportunità per l’Italia, bisognosa di attrarre capitali stranieri e intensificare legami commerciali e finanziari con la sponda del Sud del Mediterraneo”.
“un’opportunità per l’Italia, bisognosa di attrarre capitali stranieri e intensificare legami commerciali e finanziari con la sponda del Sud del Mediterraneo”.
Oggi, per l’investitore italiano è disponibile un solo fondo sharia compliant (l’Az multi asset global sukuk), lanciato recentemente sul mercato italiano da Azimut Investments, che investe in titoli obbligazionari sukuk.
Ci sono, però, alcuni freni allo sviluppo di questo segmento. Visco, infatti, ha sottolineato tre problemi di difficile soluzione: la struttura dell’Eurosistema fondata su strumenti finanziari basati sul tasso di interesse, non concesso invece dalla legge islamica; l’obbligo per le nostre banche di garantire uno schema di assicurazione dei depositi, altro fattore proibito e, per quanto riguarda la corporate governance, la responsabilità unica del consiglio d’amministrazione delle banche per le decisioni prese (mentre nei paesi islamici vi è un gruppo di religiosi che verifica la conformità delle scelte economiche alla legge coranica).
La carica degli infedeli
Inizialmente concentrata nei Paesi del Golfo Persico, la finanza islamica moderna si è poi diffusa dal 2000 anche a livello internazionale in paesi anche non musulmani (ad esempio negli Usa, nel Regno Unito e poi nel resto d’Europa). Molte banche d’investimento internazionali (come ad esempio HSBC, Citibank, BNP Paribas, ABN Amro, Société Generale, UBS, Pictet&Cie, Barclays) hanno aperto singole divisioni, sportelli islamici e filiali che operano conformemente alla Sharia (islamic banking units), in risposta alla crescente domanda di prodotti finanziari islamici strutturati da parte dei consumatori.
La maggior parte dei musulmani (circa il 60%) però vive in Occidente: questo significa che vi sono mercati ancora inesplorati. In Italia ci sono circa 1,3 milioni di musulmani, che rappresentano circa un terzo degli stranieri residenti e oltre il 2% degli italiani. Secondo una ricerca di Deloitte del 2010, le stime per il 2050 prevedono che i musulmani nello stivale raggiungano i 2,6 milioni. Si prevede che la raccolta potenziale da clienti musulmani possa raggiungere 4,5 miliardi di euro nel 2015. Questi dati, però, non tengono conto del fatto che tali prodotti e servizi potrebbero essere richiesti anche da clienti non musulmani, interessati a una diversificazione in senso etico.
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.