Prima Irlanda, seconda Spagna. E mentre sono aperte le scommesse su chi, fra Portogallo e Cipro sarà il terzo paese a uscire dal programma di aiuti economici della Troika (e quando), senza peraltro ricorrere a una linea di credito precauzionale, gli operatori si interrogano sulla situazione della crisi della regione e studiano se è il caso di rivedere i portafogli.
L’Irlanda, che è stato il primo paese a ottenere gli aiuti nel 2010, è considerata una specie di laboratorio per testare l’efficacia delle misure di austerità imposte da creditori come la Germania. E la situazione non è ancora tranquilla. Le banche dell’isola sono sommerse da una montagna di debiti inesigibili nati dal boom immobiliare che ha preceduto la crisi e potrebbero aver bisogno di soldi. Ci sono poi i denari da rendere alla Troika entro il 2042. Ma chiedere un prestito alla Bce avrebbe implicato nuove misure di austerità.
Una scelta che, secondo il governo irlandese, si poteva evitare grazie ai soldi raccolti sui mercati obbligazionari (un’emissione da 5 miliardi di euro fatta a marzo con un rendimento del 4,15%) e ai 20 miliardi di euro in riserve liquide che possono essere messi al servizio del debito fino, almeno, all’inizio del 2015. Un assist, in questo senso, è arrivato da Standard & Poor’s, che ha rassicurato il governo e i mercati: anche senza rete di emergenza, il rating dei titoli di Stato non è in pericolo.
Europa ancora nel tunnel?
Dall’Irlanda è quindi arrivato un segnale che l’Europa ormai è in salvo? Gli economisti, dopo aver letto gli ultimi dati sul Pil pubblicati da Eurostat, preferiscono la cautela. Quello dell’Europa a 28 stati nel terzo trimestre è cresciuto dello 0,2% rispetto ai tre mesi precedenti e dell’1% se confrontato con lo stesso periodo dell’anno scorso. Il secondo dato, in particolare, stona con il +2,8% fatto segnare dagli Stati Uniti, l’1,9% del Giappone e il +7,8% della Cina. A livello di singoli stati il quadro è composito. La Germania ha fatto segnare +1,2%, mentre la Francia ha registrato -0,4%. E mentre Spagna e Paesi Bassi sono uscita dalla recessione, l’Italia deve fare i conti con una contrazione dello 0,5%. In testa a tutti c’è il Regno Unito con il suo +3,2%.
C’è poi la questione della bassa inflazione che, secondo alcuni operatori e la Bce, potrebbe trasformarsi in deflazione (una diminuzione dei prezzi accompagnata da un rallentamento economico). Quando i consumatori si aspettano prezzi più bassi in futuro, spesso rimandano gli acquisti innescando una spirale negativa seguendo la quale le aziende lavorano meno e licenziano, portando a nuove contrazioni dei consumi. Ecco perché, per l’Eurotower, l’inflazione deve rimanere sotto al 2%, ma comunque vicino a questo livello.
Le scelte operative
“La crescita nell’Eurozona continuerà a essere lenta ma ci aspettiamo che prosegua e abbiamo una visione positiva sui titoli della regione”, spiega uno studio firmato da Liz Ann Sonders, Brad Sorensen e Michelle Gibley, rispettivamente responsabile degli investimenti, direttore delle analisi settoriale e capo della ricerca equity di Charles Schwab. “Molte aziende europee hanno interessi globali con buone posizioni competitive nel lusso, nella tecnologia e nel comparto industriale. I profitti sono bassi, soprattutto rispetto agli Stati Uniti dove sono ai massimi degli ultimi 45 anni. Un miglioramento dei bilanci potrebbe aiutare a ridurre il gap che c’è fra i titoli del Vecchio continente e quelli americani”.
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