Shale gas, una storia americana

La rivoluzione del gas di scisto che ha spinto la ripresa economica Usa è difficilmente replicabile altrove e comunque le grosse compagnie energetiche non potranno cavalcarla. Il prezzo del petrolio calerà.

Valerio Baselli 27/01/2014 | 10:21
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Punti chiave

- Gli Stati Uniti stanno vivendo una nuova spinta energetica con lo shale gas e lo shale oil, ma questo modello non è attualmente replicabile in altre parti del mondo, per diverse ragioni.

- Le esportazioni di gas non convenzionale resteranno bloccate per diversi anni. Continuerà a essere una risorsa prettamente americana.

- Il prezzo del petrolio potrebbe scendere a partire dal 2015, a fronte di un aumento della produzione mondiale.

La produzione dello shale gas negli Stati Uniti rappresenta una vera e propria rivoluzione energetica, il cui impatto sulla ripresa economica a stelle e strisce è stato anche troppo sottovalutato. A dirlo è Leonardo Maugeri, ex dirigente Eni, esperto di energia e oggi senior fellow di Harvard con cui ha pubblicato diverse ricerche sull’argomento, intervenuto all’ultima Conferenza sulle commodity organizzata da Etf Securities a Milano.

Cos’è lo shale gas?
Detto anche gas di scisto, si tratta di gas naturale non convenzionale estratto dai giacimenti rocciosi, che devono essere penetrati e poi essere fatti “esplodere” attraverso una tecnica chiamata fracking, già nel mirino degli ambientalisti (clicca qui per approfondire). “La produzione di shale gas, da quasi nulla nel 2000, è oggi pari a 220 miliardi di metri cubi, equivalenti alla produzione della Nigeria”, racconta Maugeri. “Questo nuovo settore è estremamente complesso: estrarre gas e petrolio (il cosiddetto shale oil, Ndr) in questa maniera è difficile e inoltre esisitono enormi differenze di produttività e di costi anche all’interno dello stesso giacimento”.

Un sogno (solo) americano
Secondo l’ex manager di Eni, le grandi aspettative legate a questo nuovo modo di produrre sono destinate a rimanere deluse. Prima fra tutte, l’idea di replicare l’esperienza americana in altre parti del mondo. “La produzione shale è destinata a diminuire se non si perforano continuamente nuovi pozzi”, spiega. “Nel 2013, negli Stati Uniti, sono nati quasi 2 mila nuovi giacimenti, proprio perché questo modo di produrre è di tipo intensivo, al contrario dell’estrazione tradizionale. A oggi, il 65% degli impianti di perforazione mondiali sono negli Usa”. Insomma, nessun altro paese al mondo ha attualmente la capacità di tenere il passo, sotto diversi profili: geologico, abitazionale, tecnologico, legislativo. Tutto ciò rende improbabile il verificarsi di una “rivoluzione” simile in altri paesi. Almeno per i prossimi anni.

La seconda riguarda le esportazioni americane verso il resto del mondo. “Washington non diventerà un grande esportatore di gas di scisto prima del prossimo decennio”. Il problema è politico. “Tutto il settore industriale americano è contrario a esportare, in quanto si teme un forte rincaro nei prezzi, il che sarebbe un problema”.

Un lavoro per piccoli
Altro spunto interessante riguarda le società che operano nell’estrazione del gas e del petrolio di scisto. Come racconta Maugeri, sono quasi tutte aziende di piccola-media dimensione, molto specializzate, flessibili e con un grande know-how. Perciò, secondo lui, i giganti energetici mondiali, da BP, a Exxon, a Shell ed Eni, non potranno avvantaggiarsi di questo trend. Innanzitutto hanno ormai già perso il treno. E poi non hanno le risorse per operare in produzioni che richiedono tempi così rapidi, tanto da richiedere migliaia di nuovi pozzi all’anno.

Petrolio destinato a scendere dal 2015
Per tutte queste ragioni, il mercato del petrolio tradizionale, invece, sarebbe ben lungi dall’essere finito, anzi, la produzione aumenterà in futuro. Secondo i dati di Maugeri già oggi la domanda mondiale è inferiore alla produzione effettiva, che è diversa da quella immessa sul mercato. Molti analisti, infatti, non tengono in considerazione la produzione inutilizzata, volutamente, da molti paesi estrattori proprio per tenere su il prezzo.

“Lo spartiacque potrebbe essere il 2015. Alcuni grossi giacimenti partiti diversi anni fa cominceranno a produrre greggio a pieno ritmo”, spiega Maugeri. Ci vogliono anni prima che un pozzo diventi davvero operativo, e una volta che gli investimenti sono partiti è impossibile fermarsi. “Senza contare i paesi oggi bloccati dalle sanzioni internazionali, come l’Iran, che potrebbero tornare sul mercato a fine anno. Se la domanda nel frattempo non salirà, ci sarà una forte riduzione dei prezzi. Una notizia per i consumatori, cattiva per gli investitori”.

“L’intero settore energetico mondiale e l’economia sono davanti a cambiamenti radicali, una vera e propria rivoluzione”, spiega Massimo Siano, responsabile per l’Italia di Etf Securities. “Gli investitori accorti devono cercare di anticipare i tempi per sfruttare queste opportunità, in un senso o nell’altro”.

Clicca qui per visionare i 19 Etc (Exchange traded commodity) quotati in Italia e dedicati al settore energetico.

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Nome TitoloPrezzoCambio (%)Morningstar Rating
Eni SpA13,78 EUR0,79
Exxon Mobil Corp114,02 EUR1,71

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Valerio Baselli

Valerio Baselli  è Giornalista di Morningstar.

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