Punti chiave
- Le società italiane che integrano il proprio bilancio con informazioni relative alla responsabilità sociale d’impresa, sono quasi raddoppiate negli ultimi due anni.
- Questa tendenza sta aumentando e in futuro si arriverà a un modello di report integrato, standardizzato su scala internazionale.
- La quasi totalità delle grandi banche europee pubblica già un bilancio sociale, un segnale importante, anche se si può migliorare sulla trasparenza.
Un sondaggio recentemente pubblicato da Grant Thornton (società di consulenza e revisione) rivela che il 24% delle imprese italiane pubblica informazioni sulla responsabilità sociale d’impresa e sulla sostenibilità, sia integrandole nel bilancio (20%), sia in documenti specifici (4%). Il numero di società tricolori che pubblica un bilancio sociale è salito dal 15% del 2011 all’attuale 24%.
Di cosa si tratta
Il bilancio sociale contiene informazioni specifiche sulla Corporate social responsability (Csr), la responsabilità sociale d’impresa. Un termine con cui si intende l’integrazione di preoccupazioni di natura etica all’interno della visione strategica d’impresa, una manifestazione della volontà di gestire efficacemente le problematiche d’impatto sociale, ambientale e di governance. La Csr si basa sull’assunto secondo cui le aziende sono sistemi aperti, che interagiscono con una molteplicità di individui e di gruppi, gli stakeholder, e che attraverso questa interazione sono in grado di contribuire a creare (o distruggere) un valore più ampio di quello economico, ossia quello sociale.
Secondo lo studio (condotto su un campione di 3.300 imprese in 45 diversi paesi), a livello mondiale la tendenza è più diffusa in India (69%), Vietnam (64%), Paesi Bassi (64%), Filippine (60%) e Messico (52%); le percentuali più basse si registrano invece in Estonia (6%), Polonia (12%), Nuova Zelanda (16%), Finlandia (18%) e Australia (19%). Globalmente la percentuale di imprese che forniscono informazioni sulle attività di Csr e sulla sostenibilità si attesta al 31%, in crescita rispetto al 25% del 2011.
Un trend in crescita
Secondo il sondaggio, il 52% delle imprese italiane è d’accordo nel sostenere che tali informazioni dovrebbero essere integrate in bilancio, percentuale in linea con la media mondiale (57%). Tra i paesi più favorevoli vi sono India (89%), Filippine (86%), Perù (84%) e Brasile (77%), mentre in fondo alla classifica figurano Estonia (18%), Svezia (19%), Lettonia (26%), Lituania (37%) e Giappone (38%).
“Riteniamo che sempre più imprese sceglieranno di divulgare questo tipo di informazioni, anche inserendole nel bilancio tradizionale”, si legge in una nota a firma di Stefano Salvadeo, responsabile dei servizi di consulenza di Bernoni Grant Thornton. “Le imprese iniziano a comprendere l’importanza di integrare l’aspetto ambientale, sociale, delle risorse umane e della governance con quello finanziario, così da fornire agli stakeholder un quadro completo della situazione aziendale”.
Banche europee in pole position
Tra le più attive nel promuovere la reportistica Csr ci sono le banche. È quello che emerge da una ricerca ad hoc pubblicata la scorsa primavera. “Abbiamo esaminato un campione composto dalle 30 più grandi banche europee, di cui tre italiane (Unicredit, Intesa-SanPaolo e Mediobanca, Ndr), e abbiamo creato un modello di valutazione della responsabilità sociale”, spiega una delle quattro autrici, Mariantonietta Intonti, professore associato in Economia degli intermediari finanziari all’Università di Bari Aldo Moro. “Dalla ricerca è emerso che il 90% del campione pubblica un bilancio sociale, spesso accompagnato da certificazioni esterne, anche se il dettaglio delle informazioni e la trasparenza potrebbero migliorare e il livello di conformità agli standard internazionali è solo parziale (37%)”.
Verso il report integrato, ma resta una scelta volontaria
Nonostante la maggiore sensibilità a queste tematiche, la pubblicazione di un bilancio sociale resta comunque una scelta volontaria. Ma per quanto? “Penso si arriverà al cosiddetto report integrato e non solo a livello europeo”, dice la professoressa Intonti. “Si tratta di un documento che unisce dati quantitativi con informazioni qualitative. Detto questo, affermare che diventerà obbligatorio mi sembra prematuro e lo vedo difficile. La stessa letteratura si divide al riguardo. Sono comunque processi molti lunghi”.
Uno degli approcci suggeriti dall’International integrated reporting council (organizzazione che detta gli standard internazionali per la redazione del report integrato, Ndr) è quello di strutturare il bilancio sulla base del modello di business dell’impresa e sui sei categorie di capitali che la stessa utilizza e influenza: finanziario, produttivo, intellettuale, umano, sociale e naturale. “Questo approccio consente di mettere in relazione la performance finanziaria e di Csr dell’impresa in maniera strutturata e raffrontabile sia nel tempo che con quella di altre imprese”, prosegue la nota di Stefano Salvadeo. “Il reporting integrato permette alla società di descrivere e misurare il valore creato e le possibilità di crearne in futuro, mettendo in relazione la creazione di valore con attività e investimenti distinti”.
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