“Lo stipendio del più alto dirigente di una grande azienda non è un premio conferito per i risultati ottenuti. Spesso assume la natura di un caloroso gesto personale verso se stesso”. Forse è stato anche pensando alle parole dell’economista John Kennet Galbraith (noto pure per le sue posizioni critiche nei confronti del capitalismo tradizionale) che alla fine degli anni ’70 l’allora amministratore delegato di Chrysler, Lee Iacocca, ha accettato di buon grado uno stipendio di un dollaro. L’esigua busta paga faceva parte delle clausole contenute in un pacchetto di aiuti federali al gruppo auto Usa.
Spirito di sacrificio?
Per gli investitori e gli operatori di mercato in genere è diventato però un simbolo dello spirito di sacrificio che deve avere un manager quando chiede a tutti i dipendenti uno sforzo per rimettere in piedi l’azienda per cui lavorano. Dai tempi di Iacocca, infatti, è diventato più comune, almeno negli Stati Uniti, accettare di fare il Ceo in cambio di un salario simbolico. I più famosi oggi sono i casi di Citigroup, Google, Oracle e Whole Foods.
Di solito alla base di questa scelta ci sono due motivazioni. Una è di fiducia: il top manager (che di solito è anche azionista) è talmente sicuro del futuro della sua azienda da rinunciare allo stipendio. Tanto poi si rifarà con i dividendi e rivendendo una parte dei titoli. Un esempio che viene sempre fatto di questo tipo di atteggiamento è quello del fondatore di Apple, Steve Job, che ha fatto uscire il gruppo da uno stato di crisi portandolo ad essere uno dei più importanti del mondo. Lui, nel frattempo (e prima della sua morte nel 2011) è entrato nelle classifiche dei multi-miliardari.
L’altra opzione è più di marketing: l’azienda è in crisi e l’amministratore delegato vuole dimostrare spirito di sacrificio e solidarietà con i lavoratori. Secondo uno studio della Kellog School of Management (Ksm) della Northwestern University, queste sono anche le società che licenziano più facilmente. Un esempio recente sono le Big Three americane dell’auto i cui amministratori delegati nel 2008 hanno dovuto accettare uno stipendio da un dollaro in cambio di aiuti statali.
Gli effetti in Borsa
Ma il report di Ksm sottolinea anche altri elementi: ad esempio che i Ceo delle aziende a rischio ricevono un dollaro per (mediamente) 2,4 anni, la metà del tempo di quelli che credono nella loro azienda (anche perché è più facile che i primi vengano sostituiti). Chi sceglie questa strada per fiducia, inoltre, vede crescere il valore delle sue azioni nel 70% dei casi contro il 44% delle aziende che percorrono questa strada per motivi di marketing. “Chi crede nell’azienda che dirige parte da una posizione di vantaggio”, spiega lo studio. “Hanno fiducia nelle loro capacità e sanno che ai buoni risultati dell’azienda corrisponderà un ricco premio. Chi accetta un dollaro per motivi di marketing, invece, è più preoccupato di trovarsi un’altra occupazione e difficilmente ha fiducia nell’azienda che guida. E’ una buona mossa dal punto di vista delle pubbliche relazioni, ma difficilmente cambia i fondamentali di un’azienda in difficoltà”.
C’è poi la questione più generale dei compensi che percepiscono i top manager alla luce dei risultati aziendali. “Gli investitori hanno il diritto di sapere se i loro interessi sono allineati con quelli dei dirigenti”, spiega Jeffrey Ptak, analista di Morningstar. “Negli Stati Uniti, ad esempio, una parte importante del lavoro dei gestori e degli analisti è quella di capire come viene regolato lo stipendio del management. In questo senso vengono preferite quelle società dove i dirigenti rischiano insieme ai soci e i cui interessi sono allineati ai loro. E gli azionisti fanno bene a protestare se questo tipo di informazione non viene fornita nel dettaglio”.
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