Per gli investitori sta diventando sempre più difficile considerare i mercati emergenti come un’unica classe di investimenti. Certo, l’indice Msci del segmento nel suo complesso (che fa da benchmark a molti strumenti finanziari) nell’ultimo mese (fino al 21 marzo e calcolato in euro) ha segnato -1,7% portando a -5,5% la performance da inizio anno. Ma, dicono gli operatori, stiamo assistendo alle ultime battute di un’uscita dei capitali scatenata dalle dichiarazioni del maggio scorso con cui la Federal Reserve ha annunciato la fine delle iniezioni di liquidità, convincendo gli investitori a tornare a guardare in direzione dei mercati sviluppati. A peggiorare la reputazione degli emerging ci si sono messi prima i preoccupanti dati macro arrivati dalla Cina e poi – ed è cronaca di queste settimane – le tensioni fra Ucraina e Russia.
Ma gli analisti sono convinti che l’ondata di pessimismo sulla totalità dei mercati in via di sviluppo stia passando. “Nonostante un aumento della volatilità, non tutte le zone emergenti stanno andando nella stessa direzione”, spiega uno studio firmato da Michael Cirami, strategist di Eaton Vance. “Alcuni stati, come Brasile e Sud Africa, hanno fatto un affidamento eccessivo sui capitali che arrivavano dall’estero in cerca di rendimento e ora che questi soldi si stanno spostando soffrono. Sull’altro fronte ci sono paesi come il Messico e le Filippine che sono stati in grado di fare grandi balzi in avanti per rafforzare le proprie economie e sembrano ben posizionati per portare avanti una crescita duratura”.
Le scelte operative
In uno scenario del genere, come conviene muoversi? Il consiglio che arriva dagli operatori è quello di scegliere con attenzione i paesi e i comparti sui quali muoversi. “Sarebbe un errore confondere l’incertezza di breve termine di alcune aree emergenti con le prospettive di più lungo termine: i propulsori della crescita non sono venuti meno, costo del lavoro, produttività crescente e crescita dei redditi, una nuova classe media, un sempre più alto numero di milionari”, ha spiegato Dirk Kubisch, head of Product di Swiss & Global asset management durante l’ultimoSwiss & Global L@B. “I grandi gruppi mondiali continuano a puntare sui mercati emergenti per sviluppare la crescita dei profitti. Le società che operano nel lusso hanno davanti a sé prospettive ancora positive che poggiano sulla crescita dei salari e sulla progressiva urbanizzazione di milioni di individui: entro il 2020, oltre il 50% della popolazione cinese sarà definibile classe media”.
Il comparto obbligazionario richiede invece un po’ di prudenza e nervi saldi. “Ai livelli attuali, il debito emergente in valuta locale sembra interessante e nel nostro modello di asset allocation manteniamo il sovrappeso su questa classe di attività”, dice una nota firmata da Mark Burgess, responsabile investimenti di Threadneedle Investments. “Tuttavia prevediamo che sia i mercati in valuta forte che quelli in valuta locale rimarranno volatili nel breve termine”.
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