Il rilancio della congiuntura e la spendig review saranno in grado di rimettere in ordine i conti pubblici italiani? Sulla carta i numeri sembrano esserci. L’Ocse prevede una crescita dello 0,7% nel primo trimestre 2014 per il Pil (Prodotto interno lordo) italiano che dovrebbe tuttavia rallentare allo 0,1% nel secondo su base trimestrale annualizzata. Di rilievo, per altro, l’indicazione di una crescita dello 0,5% nel quarto trimestre 2013, al di sopra delle stime precedenti (nell’Interim di settembre la stima era -0,3%). L’Italia in ogni caso non è più il fanalino di coda del G7, ruolo che cede al Canada (+0,5% nel primo trimestre 2014), che però metterà a segno un rimbalzo del +2,4% nel secondo.
Sempre secondo le indicazioni dell’Ocse, le esigenze di finanziamento dell’Italia per il 2014 sono pari a 542,39 miliardi di euro, il 22,7% del Pil, in sensibile calo rispetto alle esigenze per 607,1 miliardi di euro (o il 25,8% del Pil) nello scorso anno. Il responsabile del debito pubblico del Tesoro, Maria Cannata, ha calcolato in circa 450 miliardi di euro l’ammontare globale delle emissioni italiane del 2014. Va detto che i conti dell’Organizzazione e quelli dei diversi stati che ne fanno parte quasi mai coincidono. Le indicazioni, in ogni caso, parlano di un recupero del Belpaese.
Meno spese, più crescita
“L’andamento dei conti pubblici italiani riflette la maggiore attenzione posta allo stimolo della crescita economica, soprattutto tramite il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione nei confronti delle aziende, ma anche qualche concreta evidenza di recupero dell’attività economica. La dinamica recente è in linea con gli obiettivi di bilancio, ma le risorse per un ulteriore stimolo alla ripresa devono necessariamente passare per una significativa riduzione della spesa improduttiva”, spiega la Settima nota informativa sullo stato dei conti pubblici in Italia dell’Associazione italiana degli analisti e consulenti finanziari (Aiaf). “Il recupero degli indicatori di fiducia si sta trasmettendo all’attività produttiva, che inizia a registrare una crescita congiunturale. Permane un gap strutturale per l’economia italiana, determinato dalla carenza di riforme del mercato del lavoro, dei servizi, della Pubblica amministrazione e delle istituzioni”.
A meno di sorprese per il ciclo economico mondiale i prossimi due anni dovrebbero garantire una moderata crescita economica, “Soprattutto se le misure annunciate saranno puntualmente implementate”, dice il report. “Tuttavia, sarà opportuno utilizzare tale periodo per affrontare con altrettanta decisione il tema del debito pubblico che nel dibattito politico ed economico appare, al momento, un po’ trascurato. In occasione della prossima recessione, che naturalmente auspichiamo avvenga il più tardi possibile, il nostro paese dovrà essere pronto a utilizzare i margini di deficit e di debito disponibili per una politica fiscale espansiva; un livello del debito eccessivamente alto potrebbe, infatti, compromettere tale strumento di politica economica, soprattutto se i mercati finanziari dovessero giudicare eccessivo il livello del debito e determinare una nuova risalita dello spread e dei tassi d’interesse”. Senza contare l’avvio dell’applicazione del fiscal compact, che implica una riduzione progressiva del debito pubblico (un ventesimo all’anno a partire dal 2015 rispetto alla media di tre anni). “A questo riguardo va sottolineato che il rispetto di tale Trattato è ottenuto con riferimento alle previsioni di riduzione del debito e non rispetto ai dati storici e che, in ogni caso, si tratta di un giudizio sostanzialmente politico che tiene conto della situazione e degli sforzi complessivi del nostro Paese”, dicono dall’Aiaf.
Le simulazioni
I parametri per comprendere la dinamica futura del debito pubblico sono la spesa per interessi, che dipende dall’entità del debito complessivo e dal costo del debito, il saldo primario, che coincide con il deficit pubblico al netto della spesa per interessi, e la crescita economica nominale che tiene conto anche della dinamica inflazionistica.
“Se ipotizzassimo costanti per il futuro i valori registrati nel 2013 (un debito pari a 2.069 miliardi di euro, una spesa per interessi pari al 5,3% del Pil, un saldo primario pari al 2,2% del Pil e una crescita nominale pari a -1,7%), il debito pubblico italiano sarebbe insostenibile e supererebbe il 200% del Pil in meno di 10 anni”, dice lo studio dell’Aiaf. “Nell’ipotesi di una crescita economica nominale del 2,5% (dal precedente calo di -1,7%), di una riduzione della spesa per interessi (al 4,5% del Pil dal 5,3%) e di un moderato aumento del saldo primario (al 3,5% del Pil dal 2,2%) il debito tornerebbe a scendere senza la necessità di misure straordinarie, ma il ritmo di discesa sarebbe troppo lento per rispettare il fiscal compact. Con un’ulteriore marginale riduzione della spesa per interessi (al 4% del Pil dal 4,5%, corrispondente al 3% circa in rapporto al debito), una crescita economica nominale di lungo periodo dell’1% superiore al caso precedente (3,5% invece che 2,5%) e una riduzione della spesa pubblica di almeno 35 miliardi di euro, che consentirebbe un aumento del saldo primario al 4,4% (il Governo a oggi prevede di raggiungere i 32 miliardi di euro di spending review nel 2016), il rapporto debito/Pil sarebbe sotto il 100% in otto anni e rispetterebbe i criteri del fiscal compact”.
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