“Nel corso del 2014 l’Inps invierà, inizialmente solo ad alcune categorie di lavoratori, secondo successivi passaggi, la cosiddetta busta arancione, con anche la possibilità del calcolo della pensione online”. Lo si legge nel Documento di Economia e Finanza (Def) approvato dal governo Renzi la settimana scorsa. Ci si chiede, però, se questa volta sarà quella buona visto che nel corso degli anni sono arrivati una serie di annunci puntualmente seguiti da altrettante smentite.
Una storia infinita
Mai nella storia è stato così difficile spedire una lettera. È dal 2009 che in Italia si parla di far partire l’ormai famosa busta arancione, una comunicazione periodica che lo Stato dovrebbe inviare ai cittadini contenente le più importanti informazioni sulla propria situazione previdenziale. Pratica, questa, che prende il nome dalla Svezia, primo paese al mondo a implementare questa iniziativa fin dagli anni ‘90, dove il colore della busta era appunto l’arancione. L’ultimo annuncio risale al marzo 2013, quando l’Inps dichiarava che la busta sarebbe partita entro fine mese.
Trasparenza significa informazione
Stime della posizione individuale, stato del conto corrente previdenziale, proiezioni sui tempi di maturazione dei requisiti per il pensionamento e il valore economico dell’assegno. Queste sono, in breve, le informazioni che dovrebbe contenere la “busta”. Dati fondamentali per rendere i cittadini consapevoli di quello che riceveranno dallo Stato durante la propria vita post-lavorativa.
Inoltre, a quanto sembra, dovrebbe anche essere disponibile un simulatore sulla pensione futura, il quale fornirà una stima riguardante diverse prospettive previdenziali sulla base di determinate ipotesi di carriera e quindi di contributi. Più il lavoratore è giovane più sarà difficile ottenere una stima accurata del proprio assegno; sono infatti molte le variabili in gioco: l’evoluzione retributiva individuale, gli anni e la continuità del lavoro, la scelta del periodo di pensionamento.
La busta spingerà la previdenza complementare?
La fine del sistema retributivo con la riforma Dini del 1996, assieme a tutte le altre riforme fino ad arrivare a quella più recente targata Elsa Fornero, avrebbe dovuto spingere gli italiani, soprattutto i più giovani, verso strumenti di previdenza integrativa, come avvenuto in altri paesi europei. La realtà dei fatti, tuttavia, dimostra come le adesioni al secondo pilastro restino al palo da diverso tempo. In questo senso, forse, una maggiore trasparenza, e quindi consapevolezza, potrebbe smuovere le acque.
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