Pagare più tasse per dare più valore agli azionisti. Un apparente paradosso che le grandi corporate americane potrebbero presto trovarsi ad affrontare. E che potrebbe trasformarsi in un’opportunità di investimento.
Ad aprire la strada è stata eBay. Il colosso americano delle aste online in occasione dell’ultima trimestrale ha annunciato di aver rimpatriato 9 miliardi di dollari realizzati con le sue operazioni all’estero. Una scelta dolorosa dal punto di vista fiscale, visto che almeno 3 miliardi di quei soldi se ne sono andati in tasse (il trattamento fiscale degli utili realizzati all’estero negli Usa è particolarmente oneroso) ma, per certi versi, vantaggiosa.
L’utile soffre anche all’estero
“E’ vero che tenere i soldi all’estero per molte aziende è vantaggioso dal punto di vista delle tasse, ma si tratta comunque di una scelta costosa”, spiega Matt Coffina, analista di Morningstar. “Secondo i nostri calcoli ogni dollaro di profitto che resta all’estero per cinque anni – e che quindi non è direttamente utilizzabile dalla società – perde il 40% del suo valore”. Oltre a questo, il denaro fuori confine non può essere utilizzato per operazioni come il riacquisto di azioni proprie e l’aumento dei dividendi.
Le big corporate americane da tempo stanno cercando di risolvere la questione in maniera vantaggiosa. Prima di tutto con azioni di pressione politica per avere un trattamento fiscale più ragionevole in caso di rimpatrio dei soldi. Sulla questione, tuttavia, il Congresso americano è diviso e non sembra che ci saranno sviluppi nel medio termine. Alcune aziende, come ad esempio Apple, accendono con le banche prestiti pari all’ammontare del denaro che si trova all’estero. L’azienda di Cupertino in questo modo finanzia i suoi buyback. “Questo, però, significa pagare gli interessi alle banche, mentre il capitale che è fuori confine si deprezza. Non si tratta di una vera soluzione”, dice Coffina.
Caccia al paradiso fiscale
Un’altra scelta è quella chiamata tax inversion. In pratica è quello che sta cercando di fare Pfizer con l’acquisizione della inglese Astrazeneca: una scelta che le darebbe la possibilità di spostare il suo domicilio nel Regno Unito, usufruendo di un trattamento fiscale più favorevole e della possibilità di utilizzare i profitti realizzati ex-Usa. Questa scelta, tuttavia, non fa per tutti. “Alcune aziende sono troppo grandi per fare una cosa del genere e altre ne avrebbero un ritorno di immagine negativo”, continua l’analista di Morningstar. “E' difficile pensare a un’icona della cultura americana come Coca Cola con la sede in Irlanda o in un altro paradiso fiscale”.
I vantaggi per i soci
Dal punto di vista operativo mettere in portafoglio un’azienda che paga molte tasse per portare in patria il capitale potrebbe avere senso. “Avere a casa i soldi permette di avere una visione più chiara della situazione di bilancio della società”, dice Coffina. “Il denaro, inoltre, può essere utilizzato per dare un po’ di valore agli azionisti attraverso buyback o cedole più ricche. Senza contare che le aziende a caccia di sistemi per pagare meno tasse sono sempre sotto l’occhio dell’erario e non è escluso che possa essere varata una legge particolarmente severa verso chi lascia i soldi all’estero”.
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