Valerio Baselli: Mi trovo con Giancarlo Sandrin, responsabile per iShares della clientela composta dagli asset manager italiani. Ciao Giancarlo, grazie.
Giancarlo Sandrin: Buongiorno a voi.
Baselli: Ormai i prodotti passivi hanno guadagnato un ruolo di primo piano nei portafogli degli investitori sia istituzionali che privati. Tu lavori con i gestori. Qual è l’utilizzo principale che i gestori italiani fanno degli strumenti passivi nei loro portafogli? E come è cambiato negli ultimi quattro, cinque anni?
Sandrin: C’è stato un forte cambiamento. Quando abbiamo iniziato a essere attivi sul mercato italiano come iShares, nel 2006, l’utilizzo degli Etf era molto tattico, quindi per scommesse sui mercati emergenti o su singoli paesi. A quell’epoca, la parte obbligazionaria non era praticamente coperta dagli Etf. Oggi invece la situazione è molto diversa. Gli investitori istituzionali utilizzano gli Etf in maniera più consistente, non solo per scommesse strategiche, ma anche per un investimento core, per costruire la base del proprio portafoglio. In particolare, non soltanto sulla parte equity, come in passato, ma anche in quella fixed income. Se guardiamo alla crescita nel mondo degli Etf, la crescita maggiore è appunto avvenuta nella parte obbligazionaria, in particolare nella parte corporate, emerging market bond e high yield.
Baselli: In che modo, secondo te, un investitore può coniugare la replica passiva e la gestione attiva in modo ottimale nel proprio portafoglio?
Sandrin: Noi definiamo l’Etf uno strumento passivo che però viene utilizzato in maniera attiva. Ad esempio, abbiamo clienti che offrono soluzione di asset allocation attiva, composte esclusivamente da Etf. Viene gestita in maniera attiva l’allocazione tra bond e azioni, tra paesi sviluppati ed emergenti, e questa è una delle soluzioni. Un’altra alternativa è fare il blending, quindi una combinazione di attivo e passivo. Utilizzare fondi attivi ed Etf all’interno di un portafoglio, magari con una parte core composta da prodotti passivi e magari strategie di absolute return attive come parte satellite del portafoglio.
Baselli: Per chiudere, i prodotti definiti smart beta, quelli “furbi”, riscontrano sempre più successo. Gli asset sono quadruplicati negli ultimi anni. La critica che si fa a questi prodotti è che sono molto complessi, e quindi hanno snaturato la missione originaria degli Etf, che era quella di offrire un prodotto semplice, trasparente e facile da usare. Tu cosa pensi di questi prodotti, come gli utilizzeresti?
Sandrin: Innanzitutto, la definizione smart beta non ci piace particolarmente. Non si tratta necessariamente di prodotti più furbi, ma di metodologie diverse di ponderazione dell’indice. Gli indici usati comunemente sono pesati sulla base della capitalizzazione, quelli definiti smart beta cercano di usare degli altri fattori di rischio per andare a pesare i singoli titoli. Questo può portare dei benefici in alcuni specifici momenti di mercato. Ad esempio, anche le strategie high dividend sono una sorta di smart beta. Noi crediamo che siano prodotti abbastanza complessi, ma in generale, è necessaria la presenza di un consulente che possa aiutare il cliente a conoscere meglio questi prodotti. È ovvio che in futuro ci attendiamo una crescita anche di questo segmento, perché con un utilizzo sempre più assiduo degli Etf, anche i gestori professionisti cercano delle alternative per andare a toccare determinati fattori di rischio all’interno del portafoglio.
Baselli: Grazie a Giancarlo Sandrin.
Sandrin: Grazie a voi.
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