Valerio Baselli: Ci troviamo al Palacongressi di Rimini, all’ITForum, sono in compagnia di Alberto Brambilla, ex-sottosegretario al Welfare dal 2001 al 2006, oggi coordinatore del comitato tecnico-scientifico di Itinerari previdenziali nonché coordinatore della Giornata nazionale della previdenza (Gnp). Buongiorno dott. Brambilla e grazie di essere qui.
Alberto Brambilla: Grazie a voi.
Baselli: Partiamo proprio dalla Giornata nazionale della previdenza, un evento molto importante in questo campo che si è svolto la settimana scorsa a Milano. È stata la quarta edizione. Come è cambiato secondo lei l’approccio degli italiani alla previdenza integrativa e verso anche eventi di questi genere in questi quattro anni?
Brambilla: Questi eventi sono molto frequenti nei paesi del centro e nord Europa e sono gestiti da enti pubblici. Il problema vero italiano è che manca un’informativa. Rispetto alla prima edizione siamo arrivati a risultati notevolmente più ampi, a livello di partecipanti ne abbiamo avuti più di 5mila, il 75% dei quali non addetti ai lavori, e 200 relatori. Ci sono state file sia a gli sportelli Inps che a quegli delle casse, per farsi dare cose concrete, come l’estratto conto o il duplicato, sia al nostro stand della busta arancione dove abbiamo fatto quasi 3mila proiezioni sulla pensione futura individuale. Un grande risultato.
Baselli: Il problema principale della previdenza integrativa in Italia sono le basse adesioni. Per una serie di motivi: il mercato del lavoro in crisi, poca possibilità di risparmiare, ma anche una mancanza di cultura previdenziale. Secondo lei come si può fare per rilanciare le adesioni, specialmente per quella fascia di under 35?
Brambilla: Intanto, rispetto al 2004, che è l’anno prima di quando io ho varato la legge quadro sulla previdenza complementare, a consuntivi 2013, abbiamo avuto un 280% in più di iscritti, siamo passati da 2 milioni a 6,2 milioni. Però, giustamente, è ancora poco per il fabbisogno italiano. Manca proprio la comunicazione. Io ho in mente alcune società che hanno fatto della previdenza complementare il loro cavallo di battaglia e che hanno avuto dei risultati enormi. Ne cito una per tutte, finché rimane pubblica, che sono le Poste, diventate il più grande fondo pensione nazionale con 550 mila iscritti. Si sono poste l’obiettivo di sensibilizzare la gente che, quando è informata, capisce che conviene dal punto di vista fiscale. Conviene perché non servono tanti soldi per iniziare a contribuire. Con 550 euro, un ragazzo che ha 15 mila euro lordi di reddito l’anno, si fa un 10% di previdenza complementare. Per cui, con le informazioni aumentano sicuramente le adesioni.
Baselli: Durante un incontro con la stampa a cui ho partecipato, lei ha affrontato un tema molto importante: la comunicazione, come dicevamo adesso. Ha portato l’esempio dell’Istat, delle comunicazioni periodiche dell’Istituto nazionale di statistica. Secondo l’Istat in Italia ci sono 7 milioni di persone che hanno una pensione inferiore ai mille euro, cosa che è sicuramente vera. Però, lei diceva, questi dati devono essere ragionati. Che cosa intendeva?
Brambilla: Intendo dire che nel nostro paese, oltre a esserci poca informazione, tante volte questa informazione è un po’ distorta. Un po’ come per il lavoro nero e i redditi. L’Istat a settembre dice che in alcune regioni del paese il 60% del Pil è sommerso, poi alla primavera dell’anno successivo dice che in queste regioni oltre il 60% della popolazione è povera. Bisogna mettersi d’accordo: se non dichiarano redditi, per il fisco sono poveri.
Sette milioni di pensionati è vero che stanno sotto i mille euro. Però queste persone, che rappresentano quasi il 50% dei 16,5 milioni di pensionati totali, nella loro vita lavorativa hanno versato zero o pochi contributi. Al massimo avrebbero potuto prendere una pensione da 100-120 euro. Quindi, l’Istat dovrebbe dire che ci sono sette milioni di pensionati che sono sotto i mille euro. Ma questi non hanno mai versato contributi - o pochissimi - e non hanno mai pagato tasse, e lo Stato si carica di circa 35 miliardi l’anno per farli sopravvivere.
E dovrebbe dire anche un’altra cosa ai ragazzi: fate previdenza complementare, perché per tutti quelli che han cominciato a lavorare dall’1 gennaio 1996, inizio della Legge Dini, tutte le maggiorazioni sociali, le integrazioni, non ci saranno più. L’Istat dia queste informazioni, non informazioni che si prestano quasi a dire “abbiamo un sistema pensionistico che è a pezzi e che non funziona”. No, funziona troppo, tant’è che preleva cinque punti di Pil dalla fiscalità per mantenere proprio queste persone.
Baselli: Grazie dott. Brambilla.
Brambilla: Prego, grazie a voi.
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