La differenza tra vincitori e vinti la fa il tempismo. Per i fondi flessibili, in particolare, non ci sono attenuanti: non avendo vincoli sull’asset allocation tutto si gioca sulla capacità dei gestori di anticipare le tendenze del mercato e di fare un accurato stock picking. Ed è questo quello che emerge dall’analisi dei comparti europei venduti in Italia (campione composto dai fondi lanciati prima del 2008 e con portafogli aggiornati con una cadenza almeno semestrale). Guardando all’evoluzione dell’esposizione media nelle tre macro classi (azioni, titoli obbligazionari e liquidità), dal 2008 a oggi, si nota come a premiare i “top cinque” (i fondi sono stati classificati in base al rating Morningstar a tre anni, escludendo quelli per cui non si aveva un adeguato storico del portafoglio) rispetto ai peggiori del campione sia stato proprio il timing nel modificare l’allocazione delle attività in portafoglio.
Lo shock crea opportunità
All’inizio del 2008, quando il fallimento di Lehman Brothers era forse solo sulle scrivanie di qualche giornalista d’inchiesta, i portafogli dei flessibili sembravano orientati su un asset allocation decisamente bilanciata, con la componente azionaria a pesare tra il 33% e il 40%, quella obbligazionaria per il 20% circa, mentre il capitale impiegato in liquidità superava il 30%. La crisi del settore finanziario ha avuto l’effetto di sparigliare le carte.
I fondi nella parte bassa della nostra classifica (i cinque con il rating Morningstar inferiore ) sono stati penalizzati dall’eccessiva prudenza dei gestori i quali hanno preferito rifugiarsi nella liquidità facendosi sfuggire le occasioni di investimento prodotte dall’elevata volatilità presente sui mercati finanziari. Guardando al Grafico B si nota come la componente cash sia salita in maniera significativa a scapito di quella equity, mentre tra i migliori (Grafico A) l’asset allocation si è mantenuta più bilanciata grazie alla crescita dell’esposizione in obbligazioni. Da questo momento si nota come la parte azionaria sia salita progressivamente nel secondo gruppo, mentre tra i peggiori si è mantenuta su livelli più bassi, perdendo in questo modo la possibilità di beneficiare del primo rally delle Borse dopo il crollo dei mercati.
La crisi del debito sovrano
Il secondo punto di svolta è rappresentato dalla crisi del debito sovrano in Europa alla fine del 2011. Le bolle immobiliari in Spagna, Portogallo e Irlanda e i bilanci falsificati della Grecia fanno scoppiare l’allarme default e in pochi mesi Standard & Poor’s declassa tutti i paesi dell’Europa periferica. Si avverte sui mercati il pericolo di un possibile rischio contagio all’interno dell’area euro che avrebbe potuto minare la stabilità della moneta unica e a novembre del 2011 lo spread dei Btp italiani tocca la soglia record di 575 punti base.
La reazione allo shock è stata la stessa per entrambi i gruppi: l’esposizione azionaria si è ridotta sensibilmente a favore di quei titoli altamente liquidi e facili da monetizzare. Ma passata la fase più acuta di volatilità i “top cinque” sono tornati ad investire con decisione nell’equity e questo gli ha permesso di sfruttare a pieno la fase di espansione dei mercati prodotta dalle ingenti iniezioni di liquidità da parte della Federal Reserve e delle Banca centrale europea e che ha spinto i listini americani sui massimi storici.
R Club vince con i finanziari
All’interno del gruppo dei fondi meglio performanti, il comparto R Club C è stato quello ad aver realizzato il rendimento più elevato negli ultimi 12 mesi. Philippe Chaumel, che si occupa della gestione dal 2003, è riuscito a battere la concorrenza grazie alla sua decisione di sovrappesare i titoli finanziari, tecnologici e dei beni di consumo ciclici, oltre che quella di rimanere focalizzato sulle Borse di Eurolandia. Nel periodo considerato le azioni di Société Générale e Intesa Sanpaolo hanno guadagnato rispettivamente il 40% e l’80%, più che compensando l’effetto negativo dell’investimento in altre società del settore come Barclays.
Le prime hanno largamente beneficiato dei tagli ai tassi di interesse e delle operazioni Ltro (Long term refinancing operation) finanziate nei mesi scorsi dalla Banca centrale europea per permettere agli istituti di credito dell’area euro di raccogliere liquidità a costi inferiori rispetto a quelli di mercato, mentre Barclays continua ancora adesso a pagare lo scetticismo del mercato sul piano di riorganizzazione del suo business (il titolo ha un rating Morningstar di quattro stelle). Tra le stock che hanno maggiormente partecipato al successo di R Club troviamo anche Capgemini. La società francese ha visto crescere il valore del suo capitale del 40% grazie al suo impegno nell’espandere la propria presenza globale e alle interessanti prospettive di crescita in Europa, dove le società tendono sempre di più a esternalizzare il servizio di information technology. Oggi il titolo viaggia a ridosso del prezzo obiettivo di 57 euro fissato da Morningstar.
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