Investire in Europa non è semplice. Le case di gestione della regione hanno ancora troppo spesso in mente il lancio di nuovi prodotti a breve termine che rispondano ai bisogni della domanda, piuttosto che pensare a strumenti di lungo termine, sfruttando le competenze di gestione e asset allocation.
Ma ci sono segnali di miglioramento. I recenti sviluppi normativi che mirano a eliminare le commissioni di retrocessione, e quindi l’influenza di questo meccanismo sulla consulenza dei promotori finanziari ai clienti, e ad allineare gli incentivi ai gestori con gli interessi degli investitori finali sono un primo passo.
Morningstar conta 34.350 fondi aperti in Europa, con 92.400 classi di azioni. 4,6 volte tanto i numeri statunitensi (8.015 comparti per 30.450 classi). A fine maggio, il totale degli asset in fondi europei ammontava a 8.300 miliardi di dollari, contro i 13.900 miliardi di dollari investiti negli Stati Uniti. In sostanza, più frammentazione nell’offerta, ma meno patrimonio investito.
In un tale contesto, poi, gli investitori dell’area euro si trovano ad avere fondi domiciliati localmente e strumenti con sede in altri paesi, ma venduti in tutti i mercati dell’Unione europea. Ci sono poi nazioni che hanno autorizzato gli Ucits come Hong Kong, Singapore, Taiwan, Sud Africa e Cile. Questo significa un’ulteriore frammentazione della base patrimoniale.
Il risultato è la difficoltà a creare economie di scala e i conseguenti elevati costi dei fondi. Se si guarda ai numeri, infatti, il 50% dei fondi comuni domiciliati in Europa ha un patrimonio netto inferiore ai 50 milioni di dollari, percentuale che negli Stati Uniti scende al 24%. In termini di concentrazione, metà degli asset dell’industria americana sono detenuti dai 222 maggiori fondi e il 90% dai 1.930 di più grandi dimensioni. In Europa, invece, servono 1.187 fondi per raggiungere il 50% degli asset totali del settore e 9.500 per arrivare a quota 90%.
Un approccio di breve termine
In un contesto di questo tipo, le società di gestione ragionano in un’ottica di breve termine, creando fondi che soddisfino la domanda del momento. Poi, se i comparti non riescono a raggiungere dimensioni sufficienti alla gestione vengono chiusi o riciclati in altre strategie. Questo rende ancora più difficile diffondere la cultura dell’investire di lungo periodo e rafforza la tendenza degli investitori privati a inseguire il rendimento.
Morningstar ha analizzato il trend europeo di lancio di nuovi prodotti dal 2008 al 2012 e ha visto che in tale orizzonte temporale sono stati immessi sul mercato 12.918 nuovi comparti, pari al 37% dell’universo complessivo attuale. Viceversa, ne sono stati chiusi 17.837 (nello stesso range di tempo). Sicuramente in questo arco di tempo, che include il periodo post crisi finanziaria, molte grandi società si sono fuse e hanno consolidato la proprio gamma fondi, ma le cifre appaiono comunque elevate. In particolare, nell’ultimo periodo considerato le strategie che hanno visto più debutti sono state quelle alternative e le commodity.
Per continuare a leggere l’analisi sul mercato dei fondi europei, clicca qui.
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.