Obbligazioni, che sorpresa

La domanda di titoli a reddito fisso rimane alta e le performance non deludono gli investitori che all’inizio del 2014 hanno scelto i governativi europei e il debito emergente.

Sara Silano 28/08/2014 | 14:37
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Le obbligazioni sono la sorpresa del 2014, almeno fino ad ora. In particolare, lo sono stati i titoli governativi europei, la cui domanda è rimasta elevata tra preoccupazioni di carattere congiunturale e geopolitico. Nella prima parte dell’anno, il Bund, considerato il riferimento per il reddito fisso del Vecchio continente, ha sovraperformato i titoli di stato degli altri paesi sviluppati a fronte di un calo dei rendimenti (yield) e di conseguenza a un aumento dei prezzi. Intanto i differenziali (spread) tra la periferia (Italia, Spagna, Grecia, ecc.) e il centro (Germania) si sono ridotti.

Nel complesso, l’indice JP Morgan European government bond ha guadagnato il 6,37% (al 30 giugno) contro il 3,25% dell’omologo statunitense. Come si legge in una nota di Schroders Investments, i timori di deflazione nell’area euro sono il fattore più importante per spiegare la sovraperformance del Bund. Considerato l’alto livello di indebitamento, l’Eurozona non può permettersi una situazione di questo tipo, ragion per cui la Banca centrale è pronta a varare nuove misure di stimolo se il quadro dovesse ulteriormente peggiorare.

Yield ancora in calo
Gli investitori in fondi governativi area euro hanno beneficiato di questo trend, guadagnando in media l’8% (al 27 agosto), contro una performance che per l’intero 2013 era stata dell’1,43%. Ancora meglio ha fatto la categoria degli Obbligazionari euro lungo termine, con un guadagno medio del 18,1% (-0,8% nel 2013). Negli ultimi giorni, si è registrato un ulteriore declino dei rendimenti dei titoli di Stato (e di conseguenza un rialzo dei prezzi). Dopo le parole di Mario Draghi, presidente della Bce, alla conferenza dei banchieri centrali a Jackson Hole, il Bund decennale tedesco è sceso sotto l’1% e lo spread dei titoli periferici, compreso il BTp italiano, si è ridotto. Per i prossimi mesi, gli analisti si attendono politiche più espansive da parte dell’istituto di Francoforte, con una conseguente discesa dei rendimenti.

Bond emergenti in rimonta
Sorpresa nella sorpresa, i mercati obbligazionari emergenti hanno registrato un rialzo del 9,7% (indice JP Morgan Embi+ al 30 giugno), lasciandosi alle spalle la terribile estate del 2013, quando l’annuncio della fine della politica monetaria ultra-espansiva da parte della Federal Reserve aveva provocato un’ondata di vendite. Neppure il default “tecnico” dell’Argentina a fine luglio sembra aver spaventato gli investitori. Come spiega Francisco Torralba, economista di Morningstar Investment management, crisi isolate sono possibili, ma il rischio sistemico è più basso rispetto al 2007 e i politici sono più vigili e pronti a reagire. Alcune case di investimento hanno inserito questa asset class tra le preferite per i prossimi mesi. “Il rendimento del debito emergente in valuta forte (dollaro) oscilla intorno al 5%”, si legge in una nota di Pictet asset management, “un livello interessante rispetto a quello delle obbligazioni governative globali (circa 2%) e del debito Usa investment grade (3%)”.

Nel primo semestre, gli investitori in fondi obbligazionari emergenti hanno guadagnato in media l’12% (al 27 agosto), contro una perdita media superiore al 9,5% nel 2013. Chi ha scelto i comparti in valuta locale ha avuto rendimenti leggermente più bassi, ma comunque superiori all’9% (al 27 agosto). Su questo tipo di debito, gli analisti mostrano maggior cautela a causa dei timori per la volatilità dei cambi.

Occhi sulla Fed
In prospettiva, il principale interrogativo sui mercati obbligazionari nei prossimi mesi riguarda la reazione alla normalizzazione della politica monetaria americana. Per Anthony Doyle, investment director di M&G Investments, non è detto che i rendimenti possano muoversi in una sola direzione, ossia verso l’alto. “Data la fragilità della ripresa globale e l’alto livello di indebitamento dell’economia americana”, spiega, “è improbabile che i tassi di interesse tornino ai livelli pre-crisi, il che limita il potenziale di ribasso per gli asset a reddito fisso”. Inoltre, Doyle ritiene che ci siano importanti forze deflazionistiche strutturali, che contribuiscono a mantenere bassa l’inflazione. Infine è convinto che rimarrà alta la domanda di titoli governativi da parte dei fondi pensione e delle banche centrali, cui si abbina l’eccesso di risparmio a livello globale.

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Info autore

Sara Silano

Sara Silano  è caporedattore di Morningstar in Italia

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