“Un’eventuale separazione dalla Gran Bretagna solleverebbe questioni importanti e complicate, che dovrebbero essere negoziate”. William Murray, uno dei portavoce del Fondo monetario internazionale, durante la consueta conferenza stampa bisettimanale a Washington ha espresso bene la preoccupazione dei mercati per il risultato del referendum che dovrà stabilire se la Scozia farà ancora parte del Regno Unito o se, invece, avvierà la secessione. “C'è un processo politico in corso e non sarebbe appropriato commentarlo”, ha aggiunto, ammettendo tuttavia che una separazione “creerebbe una situazione di incertezza, soprattutto da un punto di vista monetario, finanziario e fiscale”.
Elementi che potrebbero avere un impatto sull’economia britannica, ma anche su quella scozzese (che dovrebbe dimostrare di essere autosufficiente) e, a cascata, su quella dell’intero Vecchio continente. Il tutto, con inevitabili conseguenze anche per gli investitori.
“Mentre le agenzie di rating hanno annunciato che una Scozia indipendente potrebbe avere un rating A, dovremmo avere qualche ulteriore informazione su come potrebbe essere il nascente sistema fiscale in modo da dare un giudizio”, spiega uno studio firmato da Laura Sarlo, Senior sovereign analyst - Loomis, Sayles & Company. “Alcune domande chiave che richiedono una risposta nei 18-24 mesi successivi a un eventuale voto ‘sì’ sono: valuta, Banca centrale e prestatore di ultima istanza, confini marittimi e divisione delle risorse di petrolio nel Mare del Nord, appartenenza all’Unione Europea e alla Nato”. La Scozia rappresenta circa l’8% dell’economia e della popolazione inglese attuale. Questo referendum è l’ultimo passaggio di un lungo processo di decentramento di poteri. Oggi il governo scozzese è largamente responsabile per alcuni settori chiave come l’educazione e il sistema sanitario nazionale, con ulteriori poteri già programmati per l’inizio del 2016. Anche se la Scozia dovesse votare ‘no’, ci sarebbero comunque maggiori poteri trasferiti da Londra a Edimburgo.
La questione del pound
Se vincesse il sì, uno dei problemi da risolvere sarebbe quello della moneta che utilizzerà la Scozia indipendente. Il Tesoro di Sua Maestà ha già fatto sapere in diverse occasioni che sarebbe contrario a un’unione monetaria fra i due paesi. Questo lascia aperte due opzioni. Prima: l’adozione del pound unilateralmente da parte degli scozzesi, ma senza nessun legame o aiuto da parte della Bank of England in caso di necessità. Seconda: l’introduzione di una divisa nuova. “Le implicazioni delle due scelte variano, ma entrambe non porteranno stabilità finanziaria nel breve termine”, dice uno studio firmato da Toby Nagle, responsabile Multi Asst allocation di Threadneedle Investments. “E’ ragionevole pensare che i correntisti scozzesi abbiano dubbi sulla capacità del loro pound di restare legato a quello inglese e sull’abilità di una nuova moneta di venire incontro ai loro bisogni. Questo potrebbe spingerli a spostare i loro conti nel Regno Unit, mettendo sotto pressione il sistema finanziario locale che potrebbe arrivare alla bancarotta”.
A urne chiuse
Ma quale sarà lo scenario che si presenterà agli operatori il giorno dopo il referendum, a seconda del risultato? “Nel caso di una vittoria del sì è probabile che, in prima battuta, il mercato possa registrare una fase di panico. Non credo che questo rischio sia correttamente coperto nella maggior parte dei portafogli degli investitori”, dice una nota di Ian Richards, strategist di Exane Derivatives. “Fino a quando l’accordo di secessione non sarà firmato prevarrà l’incertezza e questo rende quasi impossibile quantificare l’impatto del voto sull’economia scozzese o del Regno Unito. Si potrebbe assistere ad un rialzo dello spread del Gilt rispetto ai T-bond USA e ai Bund tedeschi, a un’ulteriore debolezza della sterlina e un maggiore premio per il rischio nel Regno Unito, che influenzerà le valorizzazioni delle società con focus su UK. Anche i piani pensionistici sarebbero influenzati in caso di vittoria del sì: la riorganizzazione dei sistemi previdenziali nazionali con nuovi confini richiederà un massiccio finanziamento e, potenzialmente, per ottenerlo sarà necessaria una grossa contribuzione di cash”.
E se vincesse il no? “Un voto di rifiuto alla secessione rappresenterebbe una fantastica opportunità per acquistare i titoli ciclici del Regno Unito o, a livello di indice, il Ftse 250”, dice Richards. “Questi titoli sono stati protagonisti di un de-rating due volte quest'anno - una volta a causa del rischio sui tassi di interesse e successivamente per il problema scozzese. Per questo motivo al momento le valorizzazioni presentano un elevato appeal. Tali titoli vanno comprati in caso di vittoria del no”.
La questione UK-Scotland riguarda anche gli investitori. In particolare i molti che, in questi anni, sono andati (e continuano ad andare) a caccia di dividendi. Il Regno Unito, infatti, è patria di alcune delle società che staccano le cedole più generose del mondo. “E’ sempre stato un buon posto per gli operatori interessati al rendimento”, spiega Josh Peters, analista di Morningstar. “Le aziende di quel paese hanno una politica di dividendi progressivi che garantisce ai soci cedole crescenti e generose. Il problema, in questa situazione di incertezza, è che la sterlina si sta indebolendo rispetto alle altre valute. Per ora tiene contro l’euro grazie alla forza dell’economia inglese rispetto a quella continentale, ma sta soffrendo rispetto al dollaro. La questione è che il prezzo delle azioni inglesi è in sterline e un deprezzamento della valuta, incide sul valore che un investitore ha in portafoglio.
Tempi lunghi
Qualunque risultato uscirà dalle urne, in ogni caso, non esaurirà il suo effetto destabilizzante in breve tempo. Se dovesse vincere il sì, infatti, partiranno i processi di negoziazione fra i due paesi necessari per stabilire i termini della secessione. Un processo che potrebbe essere lungo e complesso e foriero di nuove tensioni sui mercati. Anche la vittoria del no, non è detto che sia risolutiva. Una maggioranza risicata (da non escludere, secondo alcuni sondaggi) di questo fronte lascerebbe, di fatto, la questione della secessione in sospeso. In una situazione del genere le aziende scozzesi potrebbero organizzare i loro affari sulla base di una possibile futura secessione, con tutto il carico di incertezze che una situazione del genere può creare.
Ma la questione può arrivare anche al di qua della Manica. Il voto scozzese, infatti, ha implicazioni più ampie che coinvolgono la nascita di stati nazionali. Secondo gli osservatori, ad esempio, non è da sottovalutare l’impatto che il referendum potrà avere sul voto, in Spagna, per l’indipendenza della Catalogna programmato per novembre. La regione conta per circa il 20% del Pil della penisola iberica e il governo centrale ha mantenuto una posizione molto ferma nei confronti dell'amministrazione locale con la possibile conseguenza di aumentare ulteriormente il rischio sugli asset spagnoli.
Le informazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a fini educativi e informativi. Non hanno l’obiettivo, né possono essere considerate un invito o incentivo a comprare o vendere un titolo o uno strumento finanziario. Non possono, inoltre, essere viste come una comunicazione che ha lo scopo di persuadere o incitare il lettore a comprare o vendere i titoli citati. I commenti forniti sono l’opinione dell’autore e non devono essere considerati delle raccomandazioni personalizzate. Le informazioni contenute nell’articolo non devono essere utilizzate come la sola fonte per prendere decisioni di investimento.