Gli investitori hanno imparato sulla loro pelle che i loro portafogli hanno sofferto nell’ultima crisi finanziaria perché non erano diversificati verso i principali fattori che determinano il rendimento, ossia i rischi. Secondo la teoria dei mercati efficienti, l’esposizione ad essi genera l’attesa di un extra-rendimento, chiamato risk premia, che rappresenta la remunerazione per il maggiore rischio assunto rispetto a un’attività “sicura”. Di fatto, azioni, obbligazioni e altre asset class determinano un ritorno proprio nella misura in cui si espongono a fattori di rischio.
I ricercatori hanno distinto tre principali tipologie: crescita, inflazione e liquidità. Le azioni, ad esempio, sono penalizzate nelle fasi di inattesa recessione, mentre le obbligazioni da un improvviso innalzamento dell’inflazione (è importante sottolineare, che tali cambiamenti devono sorprendere i mercati, altrimenti non influenzano i prezzi).
Un risk premia riflette il maggior rischio legato all’investimento in una determinata classe di attività. Ad esempio, il value risk premia sulle azioni è il maggior rendimento dei titoli value rispetto a quelli growth che deriva dalla selezione di società a buon mercato rispetto agli indicatori di bilancio (vedi tabella).
Diversificazione di etichette
“I portafogli comunemente proposti agli investitori retail e in larga parte adottati anche dagli investitori istituzionali, come i fondi pensione, sono tradizionalmente organizzati per asset class, ciascuna con la sua chiara etichetta sulla confezione (azioni, obbligazioni governative, obbligazioni societarie, materie prime, investimenti alternativi, etc.)”, spiega Giovanni Fulci, esperto di investimenti alternativi di Banca Mps. “Il problema di questo approccio è che l’ampia diversificazione che si ritiene di aver ottenuto investendo su numerose asset class è solo una diversificazione di etichette, perché le differenti asset class possono essere (e sono) sensibili agli stessi risk premia”.
Strategie risk premia
Per queste ragioni, dopo la crisi finanziaria sono state elaborate nuove strategie, che Morningstar definisce strategic beta, focalizzate sui fattori di rischio, con l’obiettivo di ottenere una reale e più efficace diversificazione, ossia di avere dei risk premia non correlati tra loro.
“Rispetto anche a solo tre anni fa, un investitore ha oggi numerose e più ampie possibilità di costruire portafogli diversificati basati su risk premia”, spiega Fulci. “Sono proliferati, infatti, fondi ed Etf (Exchange traded product) che cercano di isolare singoli fattori di rischio. Si assiste anche al pre-confezionamento di prodotti multi-strategy diversificati, costituiti da un paniere di differenti risk premia. Un recente, significativo esempio è quello del gigantesco Government Pension Investment Fund giapponese (GPIF), che ha un portafoglio di circa 1.000 miliardi di euro. GPIF ha smontato circa un terzo della sua esposizione a gestori attivi azionari giapponesi per investire in diversi indici di azioni value/quality e small cap”.
Approcci dinamici
Esempi di panieri azionari oggi esistenti sono il mix di bassa volatilità, earning momentum (accelerazione della crescita degli utili) e qualità o il mix di valore, qualità e bassa volatilità. Nelle valute si ha una combinazione di value, carry trade (vendita valute di paesi con bassi tassi di interesse per comprare quelle con maggiori rendimenti) e momentum (misura che esprime il tasso di accelerazione dei prezzi o dei volumi di un titolo).
Le strategie risk premia sono ancora in una fase iniziale di sviluppo e prevalgono approcci statici nell’asset allocation (il mix ha sempre gli stessi pesi). “In futuro prevediamo che saranno realizzati prodotti che allocano dinamicamente ai diversi risk premia beneficiando del ‘timing’, ossia cercando di cogliere i migliori momenti per acquistare/vendere i differenti risk premia”, dice Fulci. “Un ulteriore sviluppo sarà quello di prodotti che beneficiano pienamente del potenziale di diversificazione tra risk premia afferenti a diverse asset class”.
Come valutare i nuovi prodotti
Per gli investitori si generano, dunque, nuove opportunità di investimento, ma anche esigenze di comprensione e analisi dei nuovi prodotti. Per gli Etp (exchange traded product) strategic beta, Morningstar suggerisce di usare gli stessi “pilastri” della ricerca sui fondi comuni tradizionali (persone, processi, società di gestione, performance e costi), ma con un differente peso di ciascuno. I principali elementi da considerare sono i processi e i costi, mentre il gestore passa in secondo piano dal momento che replicano un indice. Assume più rilievo, invece, la struttura societaria, il risk management, le dimensioni e le capacità di trading. Per quanto riguarda i processi di investimento, le migliori indicazioni vengono dal documento metodologico su come è costruito l’indice di riferimento, che generalmente è disponibile online. E’ poi importante conoscere la composizione del portafoglio del fondo e in quale misura differisce da quello dei concorrenti. L’analisi delle performance, infine, permette di capire quando le scelte attive del gestore hanno pagato rispetto a una gestione passiva tradizionale.
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