In un mondo (finanziario) sempre più difficile da decifrare, i mercati danno almeno una certezza agli operatori: ci si prospetta davanti un lungo periodo caratterizzato da bassi tassi d’interesse e inflazione contenuta. Questo, ovviamente, ha delle conseguenze sulle scelte operative degli investitori, in un contesto in cui è diventato molto più difficile trovare valore.
Da una parte, infatti, il rally dei mercati azionari sembra ormai essere arrivato agli sgoccioli, con alcuni dei principali indici ai loro massimi storici (come ad esempio il Dow Jones negli Stati Uniti), mentre dall’altra i titoli di Stato offrono rendimenti ai minimi. Per trovare bond con yield più interessanti bisogna abbassare la qualità creditizia (rischiando di più), o allungare la scadenza (esponendosi così alle oscillazioni future dei tassi d’interesse). Che fare, dunque? Come muoversi?
A queste e ad altre domande si cerca di dare risposta durante la tavola rotanda dal titolo Strategic and Tactical Asset Allocation in a Low-Yield Environment, in programma alla Morningstar Investment Conference di Milano, l’11 novembre. Al dibattito partecipano tre gestori di alto profilo: Micheal Schoenhaut, money manager di JP Morgan AM, Stephen Docherty, responsabile azionario globale di Aberdeen AM e Didier Saint-Georges, membro del comitato d’investimento di Carmignac Gestion.
Nelle mani di Draghi
I mercati europei sono in preda ai sussulti di un’economia malata curata con elettroshock, che grazie a una serie di trattamenti mirati nutre ancora qualche speranza sebbene la prognosi di guarigione globale sia molto incerta. “Il movimento altalenante che ha caratterizzato i mercati azionari nel corso dell’estate non è più un evento eccezionale”, commenta lo stesso Saint-Georges in una recente nota. “Come è ormai abitudine, il ribasso provocato inizialmente dall’addensarsi di varie minacce - tensioni geopolitiche e dati deludenti sulla crescita - è stato seguito da un rally di fiducia, alimentato dal pieno sostegno delle principali banche centrali e ribadito alla riunione annuale di Jackson Hole”.
Con ogni probabilità, quindi, l’ago della bilancia resterà anche in futuro la Bce, la quale finora è riuscita a rassicurare i mercati con la sua politica monetaria accomodante. A quanto sembra, più i banchieri centrali sono lucidi riguardo alle sfide che devono affrontare, come dimostrato da Mario Draghi, più gli investitori sono convinti che il necessario sarà fatto e tutto si risolverà.
Banche in maggior salute ed euro giù
Il settore finanziario è forse quello che più di tutti sta beneficiando delle decisioni di Francoforte. D’altraparte, la grande quantità di denaro che è stata immessa sul mercato a tassi vicino allo zero sta generando da un lato la riduzione del costo del debito degli Stati e dall’altro il risanamento proprio del sistema bancario. Tali effetti, però, saranno visibili sull’economia reale solo nel momento in cui la liquidità verrà trasmessa a famiglie e imprese che in caso contrario non riescono a far ripartire i consumi.
“La divergenza tra l’economia statunitense e quella europea rafforza la view di un euro materialmente indebolito rispetto al dollaro e infatti ci siamo posizionati in tal senso”, prosegue Saint-Georges. “Ma non illudiamoci: come conferma l’andamento deludente della ripresa giapponese, il deprezzamento della moneta, da solo, non basterà a rilanciare la crescita dell’economia europea. Il suo impatto sulle esportazioni dipende dalla domanda globale, e, rendendo le importazioni più costose, il suo effetto sulla domanda interna potrebbe perfino rivelarsi recessivo se non coincide con l’aumento dei salari, prospettiva ancora ben lontana in Europa considerata l’alta disoccupazione”.
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