Punti chiave:
- L’economia Usa tiene il ritmo nonostante le battute d’arresto nel resto del mondo.
- I consumi sono in aumento e ciò dovrebbe mantenere i tassi di crescita del Pil tra il 2 e il 2,5% per un po’ di tempo.
- Gli aspetti demografici, come il basso tasso di crescita della popolazione, l’aumento degli anziani e di coloro che spendono meno, rappresentano un freno alla crescita economica nel lungo periodo.
- Il miglioramento del mercato immobiliare, l’aumento delle esportazioni, l’innalzamento dei salari e i bassi tassi di interesse, nonché il buon andamento delle industrie dipendenti dal settore energetico (chimiche, plastiche e metallurgiche) potrebbero dare slancio alla crescita.
In questo periodo dell’anno, Morningstar rivede le previsioni del 2014 e fa le prime ipotesi macroeconomiche per il 2015. Negli Stati Uniti, stimiamo che la crescita del Pil (Prodotto interno lordo) nel 2015 rimarrà stabile, in un range tra il 2 e il 2,5%, così come è stato negli ultimi quattro anni.
Molte previsioni per il 2014 sono state disattese, tra cui un miglioramento del debito pubblico, una forte ripresa del settore immobiliare e un rafforzamento dell’economia mondiale. Il real estate ha rallentato la corsa a causa della stretta nella concessione di mutui. Sul fronte governativo è una previsione ottimista dire che la spesa federale crescerà dell'1% al netto dell’inflazione, alla fine del 2014. Sul bilancio pubblico, hanno pesato le pressioni degli elettori, le pensioni e una crescita debole del mercato immobiliare.
Il Pil mondiale, in genere, ha deluso. Dopo appena un anno di crescita moderata, l’Europa non ha mostrato segnali di ripresa per tutto il secondo trimestre. Anche la Cina è stata al di sotto delle aspettative, con dati deludenti sul fronte delle esportazioni e del real estate. Il solo lato positivo di questa debolezza globale è che le banche centrali sono state più flessibili, l’inflazione è scesa così come i tassi di interesse.
Il gap nella capacità produttiva, intorno al 5%, e la scarsa fiducia degli imprenditori hanno frenato la spesa delle aziende. Invece, i consumi continuano ad andare piuttosto bene, tranne che in alcuni periodi come l’inverno passato. Tuttavia, per la maggior parte del 2014, i redditi hanno superato la spesa. E sono proprio questi redditi più elevati, insieme ai risparmi già accumulati, ciò che potrebbe alimentare la spesa nel 2015. Il tasso di risparmio è aumentato dal 4,4% al 5,5% su base trimestrale. Ma i fattori climatici, le bollette energetiche molto alte e lo shock nei prezzi alimentari e in quelli della benzina, oltre alla forte disuguaglianza di reddito, hanno frenato la ripresa dei consumi. Pensiamo che il venire meno di questi fattori possa spingere i consumi nell’ultima parte del 2014.
Un New Normal? Forse. Da escludere la non crescita.
Per un certo periodo di tempo, siamo stati preoccupati del potenziale di crescita a lungo termine dell’economia mondiale e di quella Usa in particolare. Nel caso statunitense, è soprattutto l’andamento demografico che crediamo possa essere il maggior freno. Il tasso di crescita della popolazione è diminuito a partire dal 1960, con contraccolpi sul Pil.
Sul rallentamento degli ultimi anni, hanno influito i due crolli di mercato che si sono avuti in meno di un decennio, ma il calo dei tassi di crescita della popolazione è un fattore da non sottovalutare (il tasso di crescita del Pil del 2-2,5% di oggi va messo a confronto con quello medio del 3,1% registrato nel corso degli ultimi 60 anni).
Diversi studi e ricerche hanno provato che gli anziani spendono di meno: la spesa dei consumatori tocca il picco intorno ai 50 anni. Dal momento che la generazione dei baby boomer ha superato questa età, non stupisce che la crescita sia stata anemica. Infatti, il numero di cittadini Usa sui 50 anni nel 2014 è diminuito di 273 mila unità, rispetto al picco avuto nel 2007. Il quadro peggiorerà nei prossimi nove anni, con quasi 900 mila persone (intorno ai 50 anni) in meno nel 2023.
Demografia, un problema non solo Usa
Purtroppo la questione demografica non riguarda solo gli Stati Uniti. Il Giappone ha vissuto lo stesso problema prima dell’America e ha attraversato un lungo periodo di deflazione. L’Europa ha sofferto la crisi demografica più degli Usa e anche la Cina è interessata, dopo che nel 1970 ha adottato la politica del figlio unico.
Immobili, export, bassi tassi, i punti di forza
Ultimamente c’è stato qualche timore che nel lungo termine la crescita del Pil americano potesse slittare ben al di sotto del 2%. Un’ipotesi davvero esagerata, così come quella di aspettarsi un incremento superiore al 3%. Anzitutto, la spesa per gli immobili residenziali deve ancora tornare ai suoi livelli standard (5% del Pil), nonostante l’andamento della popolazione e cinque anni di ripresa economica. In secondo luogo, un aiuto verrà dalle esportazioni verso il resto del mondo. Ad esempio, è elevata la domanda di aerei, comparto nel quale gli Usa non hanno forti competitor. Inoltre, la domanda di prodotti agricoli e le esportazioni di prodotti petroliferi danno un vantaggio all’America.
Inoltre, nonostante questa fase difficile, non dimentichiamo che gli Stati Uniti si posizionano piuttosto in alto in termini di competitività mondiale. Il World Economic Forum ha riconosciuto agli Stati Uniti il terzo posto nella classifica composta da 144 paesi, sulla base di 12 criteri di competitività. Se nel breve termine sono i consumi a sostenere l’economia americana, nel lungo è la competitività a fare la differenza. Una recente indagine della Business School di Harvard suggerisce che la posizione degli Usa dalla fine della recessione ad oggi è nettamente migliorata.
Anche se possiamo ipotizzare che i tassi di interesse saranno più alti tra un anno rispetto ora, credo che rimarranno sotto la media ancora per parecchio tempo, principalmente perché la crescita è bassa. Ci sono problemi anche nella domanda e offerta. Le aziende più dinamiche oggi sono restie a fare ingenti investimenti e hanno più difficoltà ad ottenere finanziamenti. Un discorso simile vale nel settore immobiliare, dove è più difficile accendere mutui e gli americani sono meno propensi ad indebitarsi. Inoltre, invecchiando, la generazione dei baby boomer preferisce all’azionario investimenti meno rischiosi come le obbligazioni.
Salari in crescita
Poiché i baby boomer continuano ad andare in pensione, la popolazione in età lavorativa inizierà a diminuire a partire dal 2015. Allo stesso tempo, si creeranno opportunità di lavoro in un settore ad alta intensità quale quello della salute. Gli Stati Uniti, inoltre, registrano carenze di manodopera specializzata (piloti, autisti, macchinisti qualificati, ecc) ed è probabile che il trend continui nei prossimi anni. Questa situazione dovrebbe portare a un innalzamento dei salari e a una maggior capacità di spesa.
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