E’ più che raddoppiato il patrimonio degli Etp (Exchange traded product) europei negli ultimi cinque anni, raggiungendo i 362 miliardi di euro a fine settembre 2014. Oggi rappresenta il 20% di quello globale, che è dominato dagli Stati Uniti. Nonostante l’ascesa dei prodotti indicizzati, essi sono ancora una piccola fetta dell’industria del risparmio gestito del Vecchio continente, il 5,5% dell’asset under management totale, contro il 12% dell’America.
I dati emergono da un recente studio di Morningstar, dal titolo A Guided tour of the European Etf Marketplace, che contiene anche un’analisi dei principali operatori del settore e una guida per gli investitori.
Oltre le azioni
Il 2014 ha segnato una ripresa robusta dei flussi verso gli Etp, rispetto al triennio precedente. Nei primi nove mesi, sono stati pari a 33 miliardi di euro, un valore che avvicina quest’anno al periodo 2008-2012 e allontana i timori della fine della fase espansiva. Gli strumenti azionari continuano a coprire la fetta più grande del mercato, il 68% in termini di patrimonio, ma si stanno facendo strada anche quelli obbligazionari, che ora rappresentano circa il 21% del totale e sono considerati una delle aree più promettenti dagli emittenti nel prossimo decennio. L’andamento degli Etp sulle materie prime, invece, è stato fortemente dipendente dagli alti e bassi degli investitori nell’utilizzo dell’oro come porto sicuro. Oggi contano per l’8,5% contro il picco del 19% toccato nel 2011-12. Si è ridotto anche il peso dei monetari (0,6%), penalizzati dalle politiche monetarie ultra-espansive, e degli alternativi (1,9 contro quasi il 4% nel 2008).
Mercato in mano a pochi
Il mercato europeo rimane molto concentrato, con i primi tre emittenti - iShares, db x-trackers e Lyxor - che controllano oltre i due terzi del patrimonio complessivo. Mentre il primo si è rafforzato, grazie anche all’acquisto del ramo Etf di Credit Suisse nel 2013, gli altri due hanno perso quote di mercato negli anni a vantaggio di società più piccole, come Ubs e Source. “La natura geograficamente frammentata del mercato ha condizionato lo sviluppo dell’industria”, si legge nel report. “Alcuni provider hanno navigato nelle difficili acque regolamentari e sono riusciti ad affermarsi a livello continentale, altri sono stati costretti a lanciare i prodotti su più mercati, con la conseguenza di un’offerta che è di gran lunga maggiore rispetto a quella statunitense, nonostante il patrimonio complessivo sia più piccolo”.
Nuovi ingressi
Nonostante la struttura frammentata del mercato, non c’è stata, almeno finora, un’intensa attività di consolidamento. Al contrario, è cresciuto il numero di nuovi emittenti, la maggior parte statunitensi (il caso di maggior successo è Vanguard), e altri, tra cui Charles Schwab, stanno sondando il terreno. Dopo il boom di nuovi prodotti tra il 2004 e il 2010, i debutti sono diminuiti e sono aumentate le liquidazioni, in un contesto di maggiore competizione. Contemporaneamente, è cresciuta l’esigenza di differenziarsi, con strumenti a leva e short, copertura del rischio di cambio e strategic beta. Questi ultimi sono diventati il nuovo campo di battaglia per gli emittenti e la proliferazione di offerte accresce le preoccupazioni di una sempre maggiore complessità.
Gioco al ribasso
Sull’evoluzione dell’industria ha influito anche la corsa al ribasso dei costi degli Etf sugli indici più popolari che ha coinvolto i principali operatori del settore negli ultimi due anni. Oggi è possibile, ad esempio, ottenere l’esposizione alle large cap statunitensi pagando una commissione annua dello 0,05%. “La maggior parte delle società ha spiegato il taglio come risultato di economie di scala, negando l’esistenza di una ‘guerra dei prezzi’”, si legge nel report di Morningstar. “Tuttavia, pensiamo che sia la risposta a una competizione più forte, specialmente in seguito all’ingresso di emittenti low cost come Vanguard nel 2012”. Non tutti gli investitori hanno beneficiato di questo trend, perché alcuni provider hanno abbassato le commissioni solo su alcune tipologie, soprattutto quelle ad accumulazione dei proventi che sono poco adatte per chi ha un orizzonte di lungo periodo e vuole un reddito periodico. In ogni caso, il prezzo rimane la principale discriminante nella scelta dei prodotti passivi.
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