Le ombre delle banche cinesi fanno meno paura al mercato. Il cosiddetto shadow banking (istituzioni che agiscono in modo simile alle banche tradizionali, ma non sono governate dalle stesse regole né sono supervisionate) del paese del Drago, presenta dei rischi e delle sfide per i colossi finanziari del paese che, però, potrebbero trasformali in opportunità di investimento (i titoli delle maggiori banche cinesi sono trattati alla Borsa di Hong Kong. C'è poi il nuovo programma Stock Connect che permette gli scambi tra Hong Kong e Shanghai, dando agli investitori non cinesi accesso diretto anche a gran parte del mercato dell'altra piazza).
Le stesse banche ombra, additate fra le responsabili di alcune bolle finanziarie, ultimamente stanno godendo di buona stampa. Lo dimostra l’ultimo Global Financial Stability Report del Fondo monetario internazionale che, insieme ai rischi, ne elenca anche i vantaggi. Aumentano, ad esempio, l’accesso al credito, soprattutto nei mercati emergenti. Ma il rapporto dell’Fmi non fa altro che prendere atto di un fenomeno ormai sempre più importante a livello mondiale. Il comparto bancario ombra, infatti, rappresenta circa un quarto del totale delle intermediazioni finanziarie globali. Nell’area euro lo shadow banking vale dai 13.500 ai 22.500 miliardi di dollari, negli Stati Uniti si va da 15.000 a 25.000 miliardi e in Giappone dai 2,5 ai 6 miliardi. Nei mercati emergenti, dove la crescita del settore sta superando quella delle banche tradizionali, il valore si aggira intorno ai 7 miliardi di dollari.
Le dimensioni contano
Ma è in Cina che la dimensione ampia del fenomeno (35-50% del Pil) e la crescita rapida (oltre il 20% annuo) hanno sempre attirato l’attenzione degli osservatori e degli investitori. Secondo le stime lo shadow banking made in China vale circa 5mila miliardi di dollari. Ma, più che le sue dimensioni attuali, è la sua velocità di espansione, dicono i critici, che può mettere in crisi la crescita della prima economia emergente del mondo (e del mercato di riferimento per molte imprese occidentali). A rischiare è soprattutto il sistema bancario tradizionale del Paese del Drago. Secondo i dati della Banca popolare cinese elaborati da Morningstar, i prodotti di gestione del risparmio commercializzati dalle banche ombra rappresentano ormai l’11% dei depositi totali del paese. Un rapporto che è destinato a spostarsi sempre di più a favore dello shadow grazie all’utilizzo di Internet e di piattaforme di e-commerce attraverso le quali questo tipo di società promuove i suoi prodotti. “La concorrenza per le banche tradizionali sta diventando più pesante a causa soprattutto delle restrizioni a cui sono sottoposte dal Governo nella concessione dei prestiti”, spiega Iris Tan, analista del settore finanziario Asia Pacific di Morningstar. “I loro margini di guadagno su alcuni prodotti finanziari si sono già ridotti dell’1%”.
L’elemento normativo non è da sottovalutare. Gli istituti tradizionali, a causa di una serie di riforme introdotte a partire dal 2008, sono obbligati a chiedere garanzie sempre maggiori ai clienti. Il risultato è che i loro prodotti finanziari vengono collocati soprattutto a società controllate dallo stato, a grandi imprese e ad aziende che collaborano a mega opere sponsorizzate dal governo. Le altre realtà imprenditoriali hanno dovuto cercare forme alternative di finanziamento e di gestione della ricchezza. La domanda non è rimasta inascoltata e ha fatto nascere una pletora di piccole società che possono comportarsi come banche tradizionali ma che, molto spesso, propongono complessi (e oscuri, dal punto di vista dei rischi) pacchetti finanziari.
Cosa fanno le grandi
Le grandi banche del paese, quindi, devono iniziare a tremare? Non necessariamente. “Gli istituti maggiori possono aver perso il vantaggio della prima mossa, ma hanno la struttura e la base di clienti necessarie per trarre vantaggio dalla fame di strumenti finanziari dei cinesi”, spiega Tan. E, questa volta, la legge potrebbe dare loro una mano. “Da marzo 2013, la Banca centrale cinese ha introdotto una serie di limitazioni che, di fatto, ha imposto uno stop allo sviluppo dello shadow banking e ha ridato margini di manovra più ampi agli istituti tradizionali. L’aumentare dell’avversione per il rischio da parte dei cinesi, soprattutto in un momento in cui la congiuntura non sta correndo come previsto, porterà i clienti verso le banche classiche”, dice l’analista.
Molto dipenderà anche da come i colossi del credito sapranno sfruttare il canale Internet. Lo sviluppo della rete in Cina, infatti, ha aperto la strada della gestione del risparmio alle persone del ceto medio-basso. Questo segmento di mercato, almeno sulla carta, è interessante. Secondo uno studio di Boston Consulting Group, le famiglie con reddito basso sono il 94% del totale (contro il 42% di Hong Kong e il 15% del Giappone). La maggior parte di queste persone (che vive nelle aree rurali) mette i propri soldi in conti correnti e non utilizza altri strumenti di gestione del risparmio perché le grandi banche si concentrano solo sui clienti più ricchi (concentrati nelle metropoli). “L’utilizzo di Internet permetterebbe agli istituti di occuparsi di queste persone senza dover investire in nuove filiali sparse per il paese”, dice l’analista di Morningstar. “Per i clienti, invece, è sicuramente più comodo il web banking piuttosto che dover affrontare viaggi di chilometri per tenere i rapporti con il proprio istituto”.
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