Alla Banca centrale europea la studiano, il mercato ci spera e gli investitori si stanno preparando. Ma non tutti sono convinti che una manovra di stimolo monetario (il Quantitative easing) sul modello di quello appena terminato dagli Stati Uniti sia una scelta giusta anche per l’Europa. In realtà cominciano a circolare dubbi se sia stata una manovra positiva anche per l’America.
I dubbi Usa
I numeri, in questo senso, fanno nascere qualche perplessità. Per sottolineare il successo del QE made in Usa alcuni economisti hanno sottolineato come il Pil americano nel terzo trimestre dell’anno sia cresciuto del 3,5%. “Ma gli Stati Uniti sono cresciuti a una media del 3,3% l’anno fin dalla fine della Seconda guerra mondiale”, spiega uno studio firmato da Brenda Wenning, analista della società di consulenza Advice IQ. “Inoltre, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso – e aggiustato per l’inflazione – l’indicatore ha mostrato un miglioramento del 2,3%. A questo vanno aggiunti una situazione fragile per quanto riguarda l’occupazione e un mercato immobiliare ancora traballante”.
Per dirla con un report di Michel Feroli, capo economista Usa di JP Morgan Chase: “In base ai nostri standard e alla nostra storia, siamo ancora in una fase di espansione deludente”. Alcuni, inoltre, fanno notare come la maggior parte della crescita del Pil sia dovuta all’aumento delle spese militari. Non va poi dimenticato il fattore inflazione. Con un basso costo della vita, gli americani hanno avuto più soldi in tasca da spendere per i beni di consumo, da sempre considerati il motore della congiuntura (in particolare quella Usa). “E’ lecito chiedersi cosa sia stato più efficace per aiutare l’economia, se la manovra della Fed o i prezzi bassi della benzina”, continua Wenning di Advice IQ.
L’eredità lasciata dal QE americano, insomma, rischia di essere pesante. Come fanno notare alcuni accademici, ad esempio, non sarebbe stato il crollo della Borsa del 1929 a creare la Grande depressione, ma un decennio di politica monetaria da parte della Fed che avrebbe indebolito l’economia Usa. Una situazione simile a quella vista poi a cavallo fra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del 2000 che ha portato allo scoppio della bolla di Internet e a quella registrata poco prima che si scatenasse la crisi del 2007 (subprime). A questo va aggiunto che ora la Banca centrale Usa ha in carico a bilancio 4.500 miliardi di dollari di bond quasi tutti a lunga scadenza acquistati per alleggerire gli istituti di credito Usa. Tutta carta che darà scarsi rendimenti in caso di rialzo dell’inflazione
L’esempio del Giappone
Da Oriente non arrivano esempi migliori sull’utilità di un QE. Il caso del Giappone, la cui economia è ritornata in recessione nel terzo trimestre, secondo alcuni operatori dovrebbe indurre alla prudenza per quanto riguarda i presunti benefici delle politiche monetarie ultra-accomodanti. “Mentre l’espansione monetaria della BoJ dovrebbe infondere inflazione, consumi e crescita, i risultati del Quantitative easing giapponese sono tenui”, spiega uno studio del team di gestione di Dnca Finance. “I consumi effettivi delle famiglie giapponesi sono diminuiti dellì1,5% in 18 mesi e il Pil reale è cresciuto solo dello 0,2% rispetto all’inizio del 2013. Senza riforme strutturali dell'economia con iniezioni di liquidità, una politica monetaria non potrà innestare un vero e proprio ciclo di crescita sostenibile. Sarà certamente utile per rendere meno dolorose queste riforme, ma non è sufficiente”.
Cosa attende l’Europa?
Per quanto riguarda l’Europa, la situazione è, al solito, più complessa ancora. L'opposizione tedesca - tanto politica quanto della Bundesbank - rendono quella del QE una strada ancora politicamente difficile. Allo stesso tempo, il numero uno dell’Eurotower Mario Draghi non potrà fare marcia indietro, visto che il mercato sconta dei tassi che implicitamente tengono conto che prima o poi l’operazione ci sia. “Non possiamo escludere a priori che gli acquisti si faranno, ma lo crediamo realistico solo se la situazione di alcuni Paesi periferici in difficoltà, con il raggiungimento degli obiettivi del Patto di Stabilità, dovesse mettere a rischio la tenuta dell’euro”, spiega uno studio firmato da Paolo Longeri dell’ufficio studi Consultinvest sgr. “Allora l'incentivo, anche per Berlino, sarebbe forte. Se invece ci sbagliamo e ci saranno gli acquisti, crediamo una delle poche strade percorribili sarà quella di rispettare i rapporti cosiddetti Key Capital della Bce (un pro quota del Gdp dei singoli Paesi)”, continua il report. “Per quel che riguarda la target maturity degli acquisti riteniamo che - dati gli attuali livelli - sia più sensato comprare le parti lunghe o extra lunghe. In effetti il mercato punta a posizionarsi proprio su quelle”.
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