Il successo degli Exchange traded product non sembra volersi arrestare. L’anno scorso, già a fine novembre i replicanti hanno battutto ogni record di raccolta (clicca qui per approfondire), con una crescita del mercato mondiale a doppia cifra. Gli Etp, infatti, vengono sempre più utilizzati come strumento per posizioni di breve periodo, perciò i rendimenti riflettono fedelmente quello che viene definito come il sentiment degli investitori.
Secondo i dati Morningstar, nell’anno appena chiuso, tra il miglior Etp (in termini di rendimento) e il peggiore ci sono oltre 120 punti percentuali (prendendo in considerazione quelli quotati su Borsa Italiana ed escludendo i replicanti strutturati, cioè a leva o short). Prova questa del peso che ha la scelta del prodotto giusto.
I promossi
La tabella conferma il trend che si era già visto nel terzo trimestre, con i giganti asiatici in netta ripresa. Cina, India e Indonesia, infatti, compaiono nella “top ten” con strumenti a loro specificatamente dedicati. Anche il balzo non del tutto previsto dell’economia a stelle e strisce (+5% di Pil nel terzo trimestre) ha avuto le sue conseguenze, con un Etf che offre esposizione al mercato immobiliare americano e un altro strumento che replica il Nasdaq, l’indice dei principali titoli tecnologici. Da notare poi in seconda posizione un Etc dedicato al caffè, commodity in controtendenza rispetto al settore delle materie prime.
E i bocciati
Tra quelli che sono andati peggio, si conferma ancora una volta un investimento alternativo come le terre rare, una delle poche asset class a essere sempre presente nella top ten dei peggiori. Per il resto, a farla da padroni (si fa per dire) sono le materie prime energetiche, in primis il petrolio, e il mercato azionario russo. Il greggio ha sofferto nel corso dell’anno la ripresa del dollaro e la rivoluzione energetica americana che si basa sullo shale oil. Mosca, invece, è da tempo sotto pressione a causa delle tensioni con l’Ucraina e delle restrizioni commerciali che ne sono scaturite, e che hanno portato poi al crollo del rublo.
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