L’11,4% guadagnato dall’indice Msci dei mercati emergenti nel 2014 non descrive con precisione l’anno difficile attraversato dalle aree in via di sviluppo fatto di preoccupazioni macro e tensioni geopolitiche che, alla fine, sono state superate dall’ottimismo per la ripresa globale. Il primo emerging market ad alimentare l’ondata di preoccupazioni degli investitori è stato la Cina. I dati sulla produzione manifatturiera comunicati da Pechino a gennaio 2014 hanno evidenziato il primo calo dopo sei mesi. La crescita del Pil (Prodotto interno lordo) del paese, tra l’altro (+7,7% nel 2013, stesso livello del 2012), e nonostante un quarto trimestre sopra il consensus (+7,6%), si è attestata ai minimi degli ultimi 13 anni. In Cina gli investitori hanno avuto a che a che fare con dati di crescita inferiori alle attese per quasi tutto l’anno, insieme a una correzione del mercato immobiliare, che si sono aggiunti alle preoccupazioni di una bolla creditizia.
Il dollaro in risalita e la riduzione delle previsioni di crescita globale hanno poi spinto verso il basso i prezzi delle materie prime, facendo preoccupare ancora di più gli esportatori di commodity.
Pessime notizie sono arrivate dal Sudamerica, quando l'Argentina ha deciso una brusca svalutazione del peso, la divisa nazionale che ha riportato sui mercati i timori di una crisi finanziaria nella seconda economia per importanza in America Latina.
A peggiorare la situazione ci sono stati il caos in Egitto, le proteste in Ucraina, gli allarmi terroristici per i Giochi olimpici in Russia, i pesanti ribassi nella valuta del Sudafrica, gli attacchi in Medio oriente dei fondamentalisti dell’Isis e le proteste per elezioni democratiche a Hong Kong. In questo quadro a poco è servita la decisione della Turchia di alzare i tassi di interesse per difendere la valuta locale dalla pesante svalutazione. Una decisione che ha dato un poco di tregua alle Borse mondiali che poi hanno ricominciato a scendere.
Il ruolo degli Usa
Buona parte della responsabilità della debolezza in Borsa degli asset emergenti, però, è da attribuire alla decisione della Federal Reserve di frenare le iniezioni di liquidità all’economia Usa. Molti investitori, quando i tassi si sono abbassati negli Stati Uniti, hanno cercato rendimento nei paesi emergenti. Ora che i tassi americani si stanno rialzando e che si susseguono le notizie di instabilità intorno al mondo, gli operatori stanno tornando nei porti più sicuri (il cosiddetto fly to safety, Ndr) comprando obbligazioni americane e mollando quelle delle zone in via di sviluppo.
La ripresa degli Stati Uniti però è un fattore determinate per consentire ad alcuni emerging di mantenere un discreto stato di forma. Il Messico, ad esempio, può beneficiare della sua vicinanza con gli Usa. I costi del lavoro messicani, per quanto riguarda i beni esportati in America, sono competitivi rispetto a quelli cinesi. Il governo del paese, inoltre, sta portando avanti una serie di riforme economiche e aprendo agli investitori esteri il settore energetico domestico. Un paese in cui le previsioni di crescita sono diventate più ottimistiche è l'India, dove la schiacciante vittoria elettorale di Narendra Modi ha reso quanto mai probabile l'attuazione di efficaci cambiamenti strutturali. Tali riforme sono mirate a migliorare l'efficienza di diversi settori dell'economia indiana, fra cui l'agricoltura e l'energia, con l'obiettivo di dare impulso agli investimenti e avviare indispensabili progetti infrastrutturali.
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