What goes down must come up, dicono gli americani. Quello che scende, prima o poi risale, diremmo noi. Il difficile è capire quando. Nel 2014, al centro delle attenzioni mediatiche, politiche ed economiche, c’è stata la Russia. Il principale indice azionario della Borsa di Mosca, il MICEX, è diminuito l’anno scorso del 46% (dati in euro; in valuta locale – il rublo - la perdita è stata del 7%). Un investitore contrarian, quindi, si chiede se la “Terra degli zar” possa essere una buona scommessa per il futuro.
Una situazione complessa
In realtà, il contesto russo è tutt’altro che semplice e per rispondere a questa domanda serve un’analisi approfondita. Al conflitto con l’Ucraina e alle conseguenti sanzioni economiche, si è aggiunto il crollo del prezzo del petrolio. La crisi ha toccato il punto più alto il 15 dicembre scorso, quando il rublo ha perso il 10% nei confronti del dollaro in un solo giorno, spingendo la Banca centrale ad aumentare il tasso d’interesse al 17% dal 10,5% e a finanziare la più grande azienda petrolifera del paese (Rosneft) con 11 miliardi di dollari, in modo da poter pagare i debiti che scadevano entro la fine dell’anno. Questo ha fatto nascere seri timori sulla capacità delle aziende russe di poter onorare gli impegni presi.
Le previsioni per il 2015
“Gli eventi dell’anno scorso e i possibili sviluppi negativi sono stati largamente prezzati dai mercati”, commenta Igor Danilenko, responsabile azioni di TKB BNP Paribas Investment Partners. “Ad esempio, in queste ultime settimane la risposta del rublo al calo del petrolio è stata più moderata rispetto a dicembre. Comunque, le grandi banche d'investimento, le istituzioni internazionali e le autorità russe concordano nel prevedere una recessione del 5% nel 2015. Credo che il market downside (le perdite potenziali) per il 2015 sia comunque limitato”, prosegue il gestore. “Il prezzo attuale del petrolio (45-48 dollari al barile) non è sostenibile nel medio-lungo periodo, anche se potrebbe rimanere a questi livelli per alcuni mesi”.
Nonostante le difficoltà, ci sono alcuni punti positivi. “L’avanzo delle partite correnti dovrebbe aumentare quest’anno a seguito di un calo del 50% delle importazioni, il che dovrebbe fornire una solida fonte di finanziamento per ripagare il debito estero e per stabilizzare il rublo”, spiega Danilenko. “Inoltre, le esportazioni russe di materie prime sono molto diversificate: oltre al greggio, gas, metalli e diamanti. Il settore aurifero, in particolare, si presenta in ottima salute”.
Una scommessa per stomaci forti
Se da un lato il conflitto tra Mosca e Kiev, così come il crollo del petrolio e poi del rublo, possono essere catalogati come “cigni neri”, cioè eventi impossibili da anticipare, dall’altro bisogna ammettere che l’economia russa non se la passava benissimo nemmeno prima. Oggi, quindi, potrebbe valere la pena dedicarci una parte del proprio portafoglio?
“Le valutazioni sono molto basse e questo offre delle opportunità di guadagno”, afferma Danilenko, “soprattutto per gli stomaci forti con un orizzonte temporale di lungo periodo, in grado di sopportare la volatilità che sicuramente resterà elevata anche quest’anno. Molte aziende russe, specialmente gli esportatori, sono in grado di pagare dividendi a doppia cifra, anche in valuta forte”. È chiaro, tuttavia, che i rischi rimangono. “Un potenziale downgrade sul rating sovrano potrebbe portare ulteriore pressione sui bond e sull’equity, in quanto innescherebbe un’ondata di vendite automatiche da parte di investitori passivi, come gli Etf, che non sono autorizzati a possedere titoli non investment grade”.
“Lo scoppio della crisi russa è un’ulteriore dimostrazione del perché sottolineamo di continuo i rischi legati all’investimento nei mercati emergenti”, commenta Karin Anderson, fund analyst di Morningstar. “Nonostante il miglioramento generale di molti paesi in via di sviluppo negli ultimi dieci anni, i rischi permangono. I fondamentali dei mercati emergenti, infatti, possono mutare rapidamente a causa di cambiamenti nei governi, nei prezzi delle materie prime o del rischio geopolitico. In secondo luogo, le fluttuazioni valutarie possono avere un impatto rapido e pronunciato sulla valutazione dei titoli emergenti, che perciò restano soggetti a variazioni significative nei flussi di capitale”.
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